Di Marco Mensurati per La Repubblica
Il Gran Premio di Monza di domenica, comunque andrà a finire, segnerà la fine di un’era. Non tanto perché con ogni probabilità sarà l’ultimo di Luca di Montezemolo nelle vesti di presidente della Ferrari, quanto perché sarà certamente l’ultima gara italiana in cui la Scuderia si presenterà ai tifosi con il suo assetto tradizionale: quello di un team completamente made in Italy, nato, cresciuto e gestito all’interno di un’azienda ampiamente autonoma rispetto alla Fiat.
Le due notizie – quella del divorzio tra Montezemolo e la Ferrari e quella della perdita di autonomia da parte della Scuderia – evidentemente collegate tra di loro, sono deflagrate ieri pomeriggio nel paddock di Monza, quando una serie di voci più o meno controllate, certamente non molto razionali, hanno cominciato a raccontare di un Montezemolo intenzionato ad annunciare, già sabato mattina, le proprie dimissioni. Non c’è stato bisogno di molti riscontri per avere la certezza che ciò non avverrà. Né sabato e nemmeno nei giorni successivi alla gara, indipendentemente dal risultato.
Montezemolo, come prassi vuole in casi come questo, non parla. Ma il suo staff è categorico nell’escludere che si dimetterà. Si tratta, dicono, del solito tormentone estivo. Si dice così da anni. I giornalisti hanno preso l’offerta di un posto nel board di Alitalia Etihad, l’hanno sommata all’uscita un po’ burrascosa dal Cda della nuova Fca e si sono inventati questa storia.
Invece, assicurano a Maranello, il presidente che domani a Monza confermerà questa versione è concentratissimo sulla Formula 1, e mercoledì presenterà i dati di bilancio dell’azienda che ancora una volta sono da record (si parla di quasi 400 milioni di euro di utile).
E però, a ben guardare, la notizia dell’addio tra il presidente e la Ferrari non è affatto così infondata. Anzi. L’impressione è che, indipendentemente dalle smentite, si sia imboccata una strada che porterà in tempi non brevi, ma nemmeno tanto lunghi – «ragioniamo in termini di qualche settimana, al massimo mesi», dice una fonte – a una separazione, non proprio consensuale, tra le due parti.
Un passo clamoroso, se si considera: 1) che a Montezemolo era stato rinnovato il mandato fino al 2017 solamente nella primavera scorsa;
2) che il manager, da quasi 23 anni in servizio permanente a Maranello, percepirà una buona uscita monstre (gli avvocati ne stanno già parlando);
3) che cambiare l’assetto di un’azienda così particolare come la Ferrari (vendiamo sogni, era il motto del vecchio Enzo) rischia di essere una mossa suicida, tanto più se non si ha pronta una soluzione affidabile e sicura.
Cosa abbia fatto precipitare la situazione in questi mesi non è ancora ben chiaro. Di sicuro i rapporti tra Montezemolo e la casa madre non sono più quelli di una volta. Ma al di là dei rapporti personali, quello che sembra essere il passaggio chiave è la decisione di non scorporare la Ferrari dalla quotazione di Fca a Wall Street prevista per il prossimo ottobre.
Il destino della Scuderia è dunque quello di una società strettamente collegata ad un’azienda di diritto olandese, con regime fiscale inglese e quotata in borsa a New York, quale appunto la Fca.
Insomma, abituati a lavorare in perfetta autonomia e a rendere conto del proprio operato solamente al momento della pubblicazione dei bilanci, quelli di Maranello si troverebbero improvvisamente in una condizione più controllata, con molte teste a cui rendere conto e molti regolamenti da seguire.
Una situazione che, a un profilo antropologico come quello di Montezemolo, soggetto storicamente incline a seguire più il proprio istinto che non le procedure di una quotata in borsa, può dare una certa sensazione di claustrofobia.
Se a questo si sommano le tentazioni di svariati top manager di prendere il controllo di quello che viene ancora considerato come il vero gioiellino di famiglia, si capisce per quale motivo lo stesso Montezemolo cominci a pensare davvero alla vicenda Alitalia-Etihad come un’ottima exit strategy.