Di Paolo Griseri per Repubblica
E’ iniziato il conto alla rovescia per la nascita della nuova Fca. Oggi, o al più tardi domani, il Lingotto depositerà al registro delle imprese di Torino il verbale dell’assemblea degli azionisti di venerdì scorso con l’approvazione del progetto di fusione tra Fiat e Chrysler. Comincia così una vera corsa a ostacoli, non priva di incognite sull’esito finale dell’operazione.
Due sono i nodi principali da sciogliere nelle prossime settimane: l’esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti che non hanno approvato la fusione e il ruolo dei marchi del lusso, in particolare di Ferrari, nella nuova società che verrà quotata a Wall Street.
Gli azionisti che non hanno votato a favore della fusione hanno tempo fino al 20 agosto per chiedere di esercitare il diritto di recesso. Ma, si è appreso ieri, solo a fine agosto, quando anche le domande inviate per posta avranno raggiunto la loro destinazione, si potrà sapere se il pagamento del recesso supererà i 500 milioni di euro, soglia oltre la quale la fusione è nulla. In teoria, ma solo in teoria, hanno diritto a chiedere il recesso più di 700 milioni di azioni, tutte quelle che non hanno votato sì alla fusione o perché si sono espresse esplicitamente contro (100 milioni di azioni) o perché si sono astenute o non erano presenti all’assemblea.
Basterebbe che 65 milioni di azioni, meno di una su dieci di quelle che ne avrebbero diritto, scegliessero la strada del recesso per superare il tetto dei 500 milioni (a ogni azione restituita vengono pagati infatti 7,7 euro). In queste settimane dunque c’è da attendersi che i vertici del Lingotto saranno impegnati in una sorta di campagna elettorale finanziaria per convincere gli azionisti che non hanno approvato la fusione a rimanere comunque soci della nuova Fca.
Il secondo nodo riguarda i marchi del lusso. Come arriveranno alla quotazione
di Wall Street brand che sono italiani per antonomasia come Maserati e, più di tutti, Ferrari? La casa di Maranello diventerà anch’essa parte di una società di diritto olandese con regime fiscale inglese e la Borsa di riferimento a New York? La fusione tra l’aceto balsamico di Modena, il formaggio Edam con la crosta rossa e gli hamburger di McDonald’s può essere complicata. Soprattutto non è detto che la “new Ferrari” destinata a sbarcare a Wall Street debba essere ancora guidata da Luca di Montezemolo.
Non è piaciuto a Maranello il modo con cui nella recente assemblea degli azionisti John Elkann ha giustificato con «motivi di equilibrio» l’uscita del presidente di Ferrari dal cda della nuova Fca. La decisione era stata ovviamente preannunciata a Montezemolo e da lui condivisa. Non è stato apprezzato invece il modo con cui è stata comunicata. C’è infatti chi ricorda che all’inizio di maggio a Detroit la presentazione del piano industriale di Ferrari venne fatta da Sergio Marchionne che giustificò l’assenza di Montezemolo e ne apprezzò pubblicamente il lavoro svolto.
Elkann, al contrario, non ha avuto parole di riconoscenza nei confronti del numero uno di Maranello. Segno che i rapporti tra il Lingotto e l’Emilia attraversano una fase tempestosa. Questo, ben più di un eventuale prossimo impegno di Montezemolo nel board di Alitalia, potrebbe essere il motivo delle incomprensioni e forse di una prossima rottura. Tornano così a circolare le voci di un possibile avvicendamento con l’arrivo dello stesso Elkann alla guida di Maranello.
Rumors che periodicamente fanno capolino ma che in questo caso appaiono più giustificati del solito. Rumors che anche ieri al Lingotto si smentivano con decisione. Anche perché non sarebbe facile sostituire un manager che ha portato 14 titoli al Cavallino e che continua a produrre utili in un periodo di difficoltà della Squadra Corse.