Lotta all’evasione fiscale e Manovra 2020 con il chiaro obiettivo di scongiurare l’aumento dell’Iva. Inevitabilmente i due temi non possono che viaggiare di pari passo. Parliamo, d’altronde, della montagna d’oro a cui tutti i Governi, almeno a parole, vorrebbero attingere: 107 miliardi di euro di evasione fiscale, l’equivalente di almeno quattro leggi di bilancio. Ed è solo una stima. Per scalfirla finora si è fatto poco, tra condoni per il rientro del sommerso e continui annunci mai messi in pratica. Ma il premier Giuseppe Conte ha assicurato ai sindacati due giorni che proprio la lotta all’evasione sarà una priorità. E una possibilità reale con le nuove tecnologie in mano alla pubblica amministrazione, alle banche e all’Agenzia delle entrate. Vediamo a questo punto quali saranno le prime mosse in campo economico, in vista della prossima Manovra.
Prelievi in banca. Senza imposte. Le opzioni sul tavolo sono tante. Il Centro studi di Confindustria (Csc) ha immaginato un intervento a doppio binario. Da un lato introdurre una commissione del 2% sui prelievi allo sportello superiori ai 1.500 euro mensili, dall’altro garantire a chi paga cashless un credito d’imposta del 2% su ogni acquisto. “Il consumatore paga il prezzo pieno, ma accumula un credito che verrà contabilizzato e comunicato dalla banca” all’Erario, si legge nel documento diffuso dal Csc. In sede di dichiarazione dei redditi, quindi, quel “tesoretto” potrebbe trasformarsi in una sorta di detrazione fiscale o in un “cashback” che il cittadino si vedrebbe riaccreditato sul conto corrente. Grazie alla prima misura, lo Stato potrebbe recuperare 3,4 miliardi l’anno. Su tale proposta, però, è intervenuta il viceministro dell’Economia, Laura Castelli, a Italia Oggi: “La proposta di mettere una quota su quanto prelevato allo sportello non esiste in questo ministero, e non esiste nella nostra testa. Esiste invece uno studio per agevolare i pagamenti elettronici”.
Incentivi al cashless. Pd e M5S d’accordo. Ed ecco allora che si sta lavorando su una seconda idea che vedrebbe d’accordo tanto il ministero guidato da Roberto Gualtieri quanto l’associazione presieduta da Vincenzo Boccia: garantire, come detto, a chi paga cashless un credito d’imposta del 2% su ogni acquisto. In questo modo sarebbe incentivato il pagamento elettronico, dunque. Per finanziare tale misura, però, occorrerebbero secondo il Centro studi di Confindustria circa 2,8 miliardi per il 2020 e 1 miliardo nel 2021, per poi virare “in positivo” (nuove entrate maggiori rispetto alle uscite) per effetto del progressivo emergere dell’evasione. L’obiettivo, in parole povere, è quello di cambiare le abitudini degli italiani, ancora troppo affezionati al contante.
Il nostro Paese, infatti, secondo l’ultimo report della Bce è fanalino di coda in Europa per pagamenti cashless (46,2 transazioni pro-capite all’anno, contro una media dell’Eurozona superiore a 100). “Ciò ha un impatto sia sui costi di gestione del contante, sia sulla maggiore diffusione dell’evasione fiscale”, scrive ancora Confindustria. “Infatti il contante è semplice da usare e difficile da tracciare e questo facilita l’occultamento di parte del reddito prodotto”. Come fare? È stata ancora la Castelli, che ha tra i sottosegretari Alessio Villarosa, a dare alcune delucidazioni, spingendosi addirittura oltre all’incentivo: “Si può fare meglio del credito d’imposta, si può permettere un recupero mensile dell’incentivo, il processo tecnologico lo permette”. Una soluzione che per ora lascia irrisolto il nodo coperture, ma sembra piacere anche ai dem.
Pos meno costosi. Ma obbligatori. Ma non è tutto. Dalle parti di via XX Settembre, dove ora è vice ministro Antonio Misiani si sta ragionando su altro, sin dai tempi di Giovanni Tria. Azzerare le commissioni interbancarie a carico degli esercenti per i micro-pagamenti, ricorrere ad algoritmi che permettano di stanare i furbetti (come quello alla base del nuovo evasometro, autorizzato anche dalla Privacy), abbattere il costo dei Pos e, soprattutto, attivare le sanzioni (già previste dal 2011 ma mai regolate con una legge apposita) per chi non rispetta l’obbligo di installazione degli stessi terminali. Un pasticcio che il governo Conte 1 aveva più volte promesso di risolvere, senza mai riuscirci davvero. Palla che ora passa al Conte 2, il quale sembra voler accelerare il lavoro iniziato dal precedente esecutivo.
Guerra al cuneo. Sul tavolo 3 proposte. Dalla flat tax fortemente voluta dai gialloverdi al taglio al cuneo fiscale, su cui invece sta lavorando il Governo giallo-rosso. Parliamo della necessaria riduzione tra quanto va in tasca ai lavoratori e quanto, invece, se ne va in tasse e contributi. L’idea è ridurre questa incredibile distanza. Le idee sul tavolo, però, sono diverse. Tre in particolare, come ricostruito qualche giorno fa dal Sole 24 Ore. La prima, rilanciata dai Dem, prevede un taglio di un punto l’anno per cinque anni sull’intera platea degli occupati. La seconda ipotesi poggia su un intervento choc sui giovani con una sforbiciata secca di 4 punti a fronte di un’assunzione a tempo indeterminato.
C’è poi la proposta già formulata nelle scorse settimane dagli esperti dei Cinque stelle di esonerare i datori di lavoro dal versamento del contributo dell’1,61% della retribuzione destinata alla Naspi e di quello del 2,75% per la disoccupazione agricola, anche qui soltanto per i lavoratori a tempo indeterminato. Una soluzione che viaggerebbe parallelamente al salario minimo, e che varrebbe tra i 4-5 miliardi, ma che è stata accolta con freddezza da imprese e sindacati. A condizionare la scelta sarà anche la partita sulle coperture. La dote per il cuneo, a seconda dei dettagli che prenderà l’eventuale intervento, oscilla tra 2,5-3 miliardi e 5-6 miliardi.
Fattura elettronica. Misura confermata. Ci sono anche misure che verranno confermate. L’estensione della fatturazione elettronica obbligatoria fra i privati, ad esempio, ha generato nei primi sei mesi del 2019 un extra gettito Iva di circa 2 miliardi. Un ottimo risultato.