Martedì sera, nell’aula bunker di Rebibbia, ad attendere la sentenza per il maxi processo al clan Spada, c’era anche Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia. Una presenza che ha sottolineato la presenza forte dello Stato al fianco di chi combatte le mafie, a Roma come nel resto della penisola, in un Paese dove le organizzazioni criminali si sono evolute e diffuse all’esterno delle stesse regioni d’origine, avvelenando l’economia e troppo spesso le stesse istituzioni.
Presidente la Corte d’Assise del Tribunale di Roma ha riconosciuto che anche quella degli Spada, la famiglia di origine nomade che da tempo semina terrore a Ostia, è mafia. Proprio come con i Fasciani e con l’organizzazione messa in piedi da Massimo Carminati. Qualcosa è cambiato in quello che era definito porto delle nebbie. Secondo lei, che ha voluto assistere alla lettura del dispositivo, cosa è cambiato negli uffici giudiziari romani e perché?
Credo in una forte presa di coscienza e conoscenza collettiva: la mafia esiste, anche a Roma e soprattutto non è un fenomeno marginale. Perché la mafia non la sconfigge una sola categoria ma lo Stato nel suo insieme, come società civile innanzitutto. Io ringrazio il lavoro delle forze dell’ordine, della magistratura, dei giornalisti che hanno lavorato duramente sul campo come Federica Angeli, Daniele Piervincenzi e Nello Trocchia tra i tanti e tutti i cittadini che non solo si ribellano ma praticano legalità quotidiana. Voglio sottolineare che per quanto pericolosi e presenti i clan a Roma, la maggioranza è onesta e vuole una città libera dalle mafie. Non in ultimo ringrazio il coraggio della sindaca, la prima in decenni ad affermare la legalità concretamente con l’abbattimento delle ville abusive dei Casamonica. La strada è tracciata.
Recandosi di persona in aula ha voluto mostrare la presenza dello Stato. Cosa può fare ora la politica per rendere ancora più puliti Roma e il suo litorale?
In quanto Presidente della commissione Antimafia era doveroso essere al fianco della sindaca, dei magistrati, delle forze dell’ordine, dei giornalisti minacciati. Doveroso che lo Stato e la politica fosse presente quando viene emessa una sentenza importante non solo per la Capitale d’Italia ma per tutto il Paese. La politica può fare molto di più, deve sempre migliorare la propria legislazione anche se è una delle migliori e più avanzate in Europa. La politica deve fare attenzione all’economia delle mafie. I soldi degli Spada dove sono finiti? Non si è mafia se non per denaro, e quindi chi ha aiutato a riciclare questi soldi, come si sono immersi nell’economia anche legale? Ecco, la politica deve rispondere tendendo alta l’attenzione su un fenomeno che distrugge il tessuto stesso della democrazia e combatterlo non a fasi alterne o nelle ricorrenze ma quotidianamente.
Ritiene che a Ostia vi sia stato un cambio di passo nell’approccio al problema della criminalità da quando il Movimento 5 Stelle è alla guida di quel Municipio?
La lotta alle mafie non può e non deve avere colore politico, deve essere un’azione di tutta la società civile. Certo, il Municipio di Ostia era stato commissariato per azioni gravi e ineludibili, i nostri rappresentanti stanno facendo un duro lavoro sul territorio, ma torno a ripetermi: ci possono essere divisioni nella lotta alle mafie? Solo una: onesti o disonesti, solo questa è la distinzione.
La capitale soffre da tempo per gli affari che diverse organizzazioni di stampo mafioso compiono in città. Ha già avuto modo di analizzare il fenomeno e in tal caso cosa intende fare nell’ambito della commissione parlamentare antimafia?
Come commissione stiamo facendo diverse verifiche e approfondimenti, soprattutto per quanto riguarda i controlli sugli appalti. È necessario che la Capitale si doti di un tavolo per la legalità così da mettere a fuoco le principali problematiche da affrontare che dovrebbe poi portare ad avere un suo osservatorio sulle mafie. Così facendo avremmo più energie in campo per lo studio e l’analisi dei fenomeni e soprattutto possiamo essere stimolo per le buone pratiche.