Il Piano messo a punto e gestito dalla Commissione europea per bloccare i traffici di armi nei Balcani è stato un mezzo flop. In quella zona terroristi e criminali comuni acquistano arsenali con cui poi seminare terrore in Europa, ma gli sforzi di Bruxelles per arginare tale fenomeno hanno prodotto risultati magri. Ad ammetterlo, dopo quattro anni, è lo stesso esecutivo presieduto da Jean-Claude Juncker, in una relazione inviata ieri al Parlamento dell’Ue e al Consiglio europeo.
IL QUADRO. L’obiettivo che si era dato la Commissione era quello di rendere sempre più difficile ai terroristi e ai criminali appunto di avere facile accesso alle armi da fuoco e agli esplosivi, con la consapevolezza che i Balcani costituiscono la fonte principale di approvvigionamento di quegli strumenti di morte contrabbandati poi nell’Unione europea. E per tali ragioni l’esecutivo ha cercato di rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza tra l’Europa e i Paesi di quella regione, adottando un piano d’azione per il 2015-2019, siglato nel dicembre dell’anno prima a Belgrado. Per favorire lo scambio di informazioni, Bruxelles ha inoltre stanziato anche un milione e mezzo di euro e ha organizzato controlli straordinari alle frontiere e sul territorio, diretti principalmente verso gli autobus a lunga percorrenza e i rivenditori di armi da fuoco. La minaccia del resto è particolarmente seria. Tanto che la stima più recente in possesso della Commissione presieduta da Juncker ha calcolato in 2,3 milioni le armi regolarmente registrate in mano ai civili nei Balcani occidentali e in 3,8 milioni quelle che sfuggono a qualsiasi monitoraggio. Di più. Si legge nella relazione inviata ieri al Parlamento e al Consiglio: “Lo sviamento di armi a salve, armi d’allarme e armi a gas convertite illegalmente in vere armi da fuoco costituisce una crescente tendenza e la regione rappresenta un punto di transito per i trafficanti di questo tipo di armi”.
I LIMITI. Il Piano però non ha prodotto grandi risultati. Tante chiacchiere e pochi fatti. La stessa Commissione ha ammesso che non è stata prestata attenzione sufficiente alle sanzioni penali per i traffici di armi applicati nei diversi Paesi, considerando che alcuni neppure perseguono tale reato, che non sono state affrontate le minacce provenienti dall’Ucraina e dalla Moldavia e che nella gestione del piano non sono state coinvolte a sufficienza le stesse agenzie dell’Unione europea. Senza contare i controlli alle frontiere, considerati inadeguati, tanto che i sequestri sono stati piuttosto rari. Infine un fallimento anche nell’analisi costi-benefici, visto che le cifre e i dati controllati “sono quasi inesistenti” soprattutto sul fronte finanziario. Anche per Juncker in futuro l’Ue e i partner dei Balcani dovranno dunque “tradurre i propri impegni politici in priorità operative e risultati tangibili”, coordinandosi di più e coinvolgendo meglio le organizzazioni internazionali.