Carlo Calenda un anno fa presentava mozioni di sfiducia “per dare un segnale politico”. Oggi le definisce “una cretinata”. Ieri servivano a denunciare “lo sconcio di un vicepresidente del Consiglio alleato con un dittatore sanguinario”. Oggi “non si costruisce un’alternativa” con una mozione al mese.
Il punto, però, non è l’incoerenza – che è ormai una valuta debole dell’opposizione italiana – ma l’ossessione performativa di chi si mette a fare i conti del possibile, rinunciando al necessario. Calenda si dichiara stanco delle mozioni inutili, ma non si accorge che l’inutilità più grave è proprio questa: dichiarare a ogni curva che tutto è sbagliato ma evitare accuratamente di restare dove si prende posizione.
Come racconta Pagella Politica (27 marzo 2025), Azione ha chiesto la sfiducia per Salvini nel 2024, accusandolo di non aver mai disdetto l’accordo con il partito di Putin. Ma ha evitato di chiederla per Nordio, colpevole del rimpatrio del criminale libico Almasri, perché “il mondo viene giù” e servirebbe “serietà”. Nel mezzo c’è l’arte di governare la narrazione anziché i contenuti, di scegliere i bersagli solo quando non compromettono gli equilibri, di mostrarsi rigorosi quando non costa nulla.
E così il garantismo selettivo diventa una coperta troppo corta: o si scoprono le spalle o si mostrano le gambe.
Forse la verità è che a furia di cercare l’alternativa, si finisce per diventare l’alibi. E quando tutto brucia, anche l’acqua fresca di una mozione può servire. Purché sia acqua, non cerone. Purché non serva a specchiarsi, ma a spegnere. Anche solo per dire che almeno qualcuno ha provato a buttarcela.
La Sveglia