“La Lombardia ha perso un’occasione storica, da una regione che aspira ad avere dallo Stato centrale l’attribuzione di ulteriori funzioni, anche in materia di sanità, non mi aspettavo una gestione dell’emergenza pandemica fallimentare da ogni punto di vista, sono molto amareggiato”. Ad esprimersi in questi termini non è un detrattore del riconoscimento delle autonomie regionali ma Davide Boni, leghista della prima ora in era bossiana, con alle spalle diversi incarichi di peso sia nel partito sia in Regione Lombardia – alle elezioni regionali del 2010 è stato il più votato tra i leghisti in regione con 13.213 preferenze – e soprattutto noto fautore del decentramento amministrativo.
Boni lei ha affidato ai suoi social un amaro sfogo “la gestione di questa pandemia ha demolito la possibilità di ottenere l’autonomia della nostra Regione, ma non per colpa di Roma, non siamo stati all’altezza purtroppo”. Un atto d’accusa alla Giunta Fontana?
“Chi si assume l’onere e l’onore di amministrare ha dei compiti precisi e fra questi rientrano la programmazione e il controllo. Da sei mesi si sapeva che i vaccini sarebbero arrivati, in questo lasso di tempo non sono stati in grado di dare una risposta seria ed efficiente di vaccinazione ai nostri cittadini. Errore nella scelta dei tecnici? Può darsi ma forse anche un errore di gestione e in ogni caso i vertici dell’Agenzia che aveva il compito di occuparsene e che avrebbe dovuto sovrintendere all’attuazione del piano vaccinale sono stati nominati dalla politica (il riferimento è ad Aria, la centrale degli acquisti lombarda, il cui cda è stato azzerato dal governatore quattro giorni fa dopo un anno intero di disservizi, ndr)”.
Come è possibile un disastro del genere proprio nella regione considerata un modello in Italia?
“Tutto mi sarei aspettato dalla Lombardia, che produce il 24% del prodotto interno lordo nazionale, la regione più popolosa d’Italia, che ha sei centri a livello europeo per la sanità tranne il fatto di ritrovarmi una regione fanalino di coda, è una cosa inconcepibile non da politico ma da cittadino lombardo: tre anni fa io sono andato a votare per avere più autonomia, ma a quel punto le risposte non le darebbe più lo Stato centrale. Se io fossi a Roma, la prima cosa che direi è questa: non vi ‘meritate’ l’autonomia, le competenze vanno riportate a livello centralizzato. La colpa non è certo imputabile al governo centrale e centralista”.
Insomma è stato servito un alibi su un piatto d’argento…
“Abbiamo dato prova di non essere in grado di organizzarci e di realizzare l’autonomia e non ci sono scuse. Certo quello è successo nella gestione della pandemia non è imputabile a Conte o Draghi”.
Lei però è stato molto critico anche sul decreto Sostegni varato dall’esecutivo Draghi, di cui fanno parte però anche Lega e Forza Italia.
“Io non discuto Draghi, che ha un curriculum non discutibile, il suo limite è la classe politica di questo Paese, che non è in grado di scegliere degli obiettivi economici chiari. Non si possono accontentare tutti, la politica deve fare delle scelte ben precise: il cosiddetto ‘debito buono’ deve essere selettivo e funzionale agli obiettivi. Col decreto Sostegni si è aumentata la platea d’intervento ma è stato dato poco a tutti, i soldi vanno dati alle imprese che creano economia che creano un volano. I lavoratori vanno garantiti ma gli aiuti a pioggia non servono in un’ottica di lungo periodo e di ripresa”.