di Vittorio Pezzuto
Un discorso profondamente deludente, com’era peraltro immaginabile». A distanza di qualche giorno la senatrice forzista Cinzia Bonfrisco torna a riflettere sul messaggio di fine anno di Giorgio Napolitano, avvertendo ancora il retrogusto amaro di quelle parole. «Abbiamo ascoltato un presidente della Repubblica che non vuole rispondere della sua più rilevante responsabilità: quella di essere stato dal 2011 a oggi l’assoluto dominus della politica italiana. A quei cittadini a cui ha voluto rispondere con la posta del cuore non ha mica detto che i due governi da lui voluti sono stati degli autentici fallimenti, accomunati da un dato drammatico: l’inesorabile aumento della politica di pressione fiscale».
Eppure anche voi lo supplicaste di accettare un secondo mandato.
«Certo. Speravamo che potesse garantire finalmente un processo di pacificazione così come le riforme coraggiose di cui abbiamo bisogno. Così non è stato. Adesso non gli resta che ammettere fino in fondo le sue responsabilità e rimettere le scelte nelle mani dei cittadini, che meglio di lui potranno decidere da chi essere governati: se da esecutivi inventati nelle stanze dei Palazzi oppure scelti dal popolo».
Del governo Monti avete fatto parte pure voi…
«Va ricordato il clima politico nel quale si instaurò, creato ad arte con la favola dello spread e mentre Berlusconi conduceva una durissima trattativa con l’Europa per provare a mettere in discussione quel patto stupido del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil che, in una visione meramente ragionieristica e di finanza pubblica, è diventato l’ultimo cappio al collo dell’economia italiana».
Oggi lo spread è tornato ai minimi storici.
«Non significa nulla. Cambia qualcosa per un’azienda che va in banca per ottenere un prestito, per un cittadino che chiede un mutuo? D’altronde, ormai cosa ce le compriamo a fare le case? Sono diventate l’oggetto di una nuova, violenta tassazione e il mercato immobiliare è ormai destinato a morire. E poi Letta ci viene a dire che sono diminuite le tasse! Certo, di poco e soltanto grazie alla nostra battaglia contro l’Imu».
Grillo non sta attaccando Berlusconi e lo stesso Renzi evita accuratamente il suo nome. Lo ritengono fuori dai giochi?
«Non credo proprio. Chiunque conosca questo Paese sa che non è così. Aver buttato fuori dal Senato Berlusconi è un’altra rappresentazione fisica del fallimento di questi ultimi tre anni. Ormai nel Palazzo opera la politica inventata nei laboratori; quella vera sta fuori: Grillo, Berlusconi, Salvini, Renzi».
Quest’ultimo è accusato da molti di essere solo un chiacchierone.
«Questo lo dicono i suoi detrattori, che cercano di fermare il treno con la schiena. Ma questo è partito e non lo può fermare nessuno. Quando il segretario del Pd inizia l’anno proponendo tre diverse ipotesi di riforma elettorale toglie un alibi a tutti quanti e dimostra che vuole davvero cambiare le regole del gioco. E chi non ci starà porterà sulla coscienza la responsabilità di non aver lavorato alle tante declamate riforme. Renzi ha avuto anche il merito di rilanciare due battaglie che sono anche nostre: rimettere in discussione il vincolo del 3 per cento e proporre un Job Act che riformi il mercato del lavoro, dando la possibilità di assumere senza dover necessariamente sposare un dipendente. Ma soprattutto ha capito che le riforme istituzionali vanno sganciate da quella elettorale, che resta la vera priorità».
E subito dopo si andrà a votare?
«Certo, o preferiamo tenerci il Governo Letta della legge che mantiene la ‘sua’ stabilità ma non certo quella del Paese?».
Ma così verranno nuovamente rinviate le riforme istituzionali.
«A farle sarà il prossimo Parlamento. La Consulta ci ha spiegato che quello attuale ha un profondo vizio di illegittimità e io, che sono sempre rispettosa delle sentenze, penso che si debba quanto prima rimediare a questo danno fatto al Paese con un premio di maggioranza diverso tra Camera e Senato, come pretese l’allora Capo dello Stato Ciampi».
Anche Renzi vuole il voto al più presto?
«Ovvio. Non intende essere cucinato a fuoco lento dal sistema delle oligarchie dei palazzi romani e credo che abbia molto chiara la situazione. Altrimenti uno come lui non decide il 2 gennaio di sparigliare le carte, dentro e fuori il suo partito, con una simile apertura al dialogo».