Matteo Salvini è ancora un dilettante rispetto a Silvio Berlusconi. Che oltre che per il suo impero televisivo, passerà alla storia per essere stato il leader più bersagliato di sempre. Al netto delle inchieste giudiziarie, la graticola ultraventennale che gli hanno riservato le élite intellettuali del Paese mentre gli elettori lo votavano in massa, ha fatto scuola. Eppure il leader della Lega, se non altro per ragioni anagrafiche, può fare obiettivamente di più e di meglio. Non si è ancora meritato le dieci domande di Repubblica, i sindacati non hanno nemmeno minacciato di scendere in piazza, di girotondi di indignati neppure l’ombra.
Massa critica – Ma qualcosa si muove: dopo appena 57 giorni dall’insediamento del nuovo Governo, è stata già promossa una raccolta di firme per chiederne le dimissioni dal ministero dell’Interno. Mentre si moltiplicano gli appelli alla mobilitazione, anche se non è bene chiaro a che ora è la rivoluzione (e se si deve venire già mangiati, come chiedeva ironico Gassman in un film di Scola). L’Espresso, per la verità, gli ha dedicato già due copertine. Nella prima, ispirata dal libro di Vittorini sulla Resistenza, Uomini e no, la sua foto è affiancata a quella di un migrante. E questa settimana un evocativo “Ribelliamoci” campeggia in bella vista sopra le teste della scrittrice Michela Murgia e del disegnatore Zero Calcare. Che non sono Paolo Flores D’Arcais, Pancho Pardi e nemmeno Nanni Moretti, ma ce la mettono tutta. Il bersaglio del settimanale è la destra egemone che Salvini pare personificare: parola d’ordine (perduta), militanza. L’esigenza di schierarsi, un mantra. Come quello di cui si è fatto portavoce Roberto Saviano, indagato per diffamazione dalla procura di Roma su denuncia dell’inquilino del Viminale. Offeso per l’epiteto di “ministro della Malavita” che gli ha rivolto il giornalista-scrittore. Nel caso del mensile Rolling Stone non ce n’è stato bisogno: l’appello “Noi non stiamo con Salvini”, è stato un mezzo boomerang quando si è scoperto che alcuni tra i firmatari, tra tutti Enrico Mentana, in realtà non avevano firmato affatto. Il “Vade retro Salvini” comparso sulla copertina di Famiglia Cristiana e l’apertura al vetriolo del quotidiano Avvenire, edito dalla Cei, che gli ha dedicato la prima pagina criticando duramente una sua dichiarazione sui Rom, forse segnano un salto di qualità. Ma Salvini che nei momenti importanti giura sul crocifisso stringendo nella mano il rosario, tutto sommato l’ha presa con spirito: “Spero che anche Famiglia Cristiana, come Rolling Stone e L’Espresso – che strana compagnia – riesca a incrementare di 20 copie la sua tiratura settimanale”.
Buonsenso popolare – Sembrano fargli il solletico pure le opposizioni, ringalluzzite dalle parole del Capo dello Stato, Sergio Mattarella che ha parlato di un episodio “da Far West” a proposito della bambina Rom colpita da un proiettile vagante. L’ostilità nei suoi confronti, per la verità, non ha ancora assunto i toni del fastidio epidermico. Non solo perché Salvini ha i tratti dell’uomo comune, dove tic, gaffes, favolose ricchezze e esorbitanti conflitti di interesse sono state armi indispensabili per costruire il nemico Berlusconi. Le sue sparate contro migranti, Rom e l’Europa matrigna conservano, anzi, nell’opinione comune, una sorta di buon senso popolare: la gestione delle politiche dell’immigrazione e dell’accoglienza nel Paese reale hanno alimentato un risentimento diffuso che il leader della Lega è solo riuscito ad intercettare. E del resto l’Europa che conosciamo si è assai lontana dalle aspirazioni del Manifesto di Ventotene. Inevitabilmente il processo a Salvini è un processo agli italiani. Che nessuno, in fondo, ha la forza di fare.