Largo alle Lobby, stop alle Ong: ecco la linea di Conservatori e Popolari

Popolari e Conservatori europei mettono nel mirino le Ong: una strategia per ridurre le voci critiche e rafforzare gli interessi corporativi.

Largo alle Lobby, stop alle Ong: ecco la linea di Conservatori e Popolari
Non sono mai state amate dai conservatori. Le organizzazioni non governative rappresentano da sempre un bersaglio facile: troppo libere, troppo critiche, troppo ingombranti per chi vorrebbe un’Europa modellata sui propri interessi. Oggi il mirino si stringe. Al Parlamento europeo, il Partito Popolare Europeo (Ppe) e i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) stanno chiedendo a gran voce maggiore trasparenza sui finanziamenti che le Ong ricevono dall’Unione europea. La narrativa è quella di sempre: salvaguardare i soldi dei contribuenti. Ma tra le righe si intravede una strategia più ampia per ridurre al silenzio una parte della società civile che ancora osa mettere in discussione il potere.

L’attacco alle Ong ambientali

“Le Ong svolgono un ruolo importante nel processo legislativo europeo, ma serve più controllo su come vengono utilizzati i fondi”, ha dichiarato Manfred Weber, leader del Ppe. Il messaggio è chiaro: va bene che esistano, purché non facciano troppo rumore. In particolare, nel mirino ci sono quelle attive in campo ambientale, spesso accusate di ostacolare lo sviluppo economico o di imporre vincoli eccessivi a settori chiave. E così, nel tentativo di mettere un freno a questa presunta ingerenza, la Commissione europea ha recentemente stabilito che i fondi del programma LIFE — destinati a progetti per la tutela dell’ambiente — non potranno più essere utilizzati per attività di lobbying. Un colpo basso per chi da anni lavora per portare nel dibattito pubblico le istanze della transizione ecologica.

La giustificazione è ancora una volta il rischio reputazionale. Una lettera inviata dalla Commissione alle Ong specifica che i fondi non devono essere impiegati per organizzare incontri o produrre materiali di advocacy rivolti alle istituzioni europee. Un limite che rischia di amputare una parte essenziale del loro lavoro: quella di rappresentare le istanze della società civile. “Queste restrizioni ci rendono più difficile contribuire al dibattito pubblico”, hanno commentato alcune organizzazioni. La traduzione? Una stretta che le depotenzia, sottraendo loro la voce proprio laddove più conta.

Un attacco al pluralismo democratico

La questione va ben oltre il tecnicismo del bilancio europeo. Quello a cui stiamo assistendo è un attacco al pluralismo democratico. Mentre si chiede alle Ong di giustificare ogni centesimo ricevuto, nulla si dice sui finanziamenti che piovono sulle grandi lobby industriali, libere di influenzare decisioni politiche senza dover rendere conto ai cittadini. L’ipocrisia è evidente: chi accusa le Ong di eccessiva influenza difende un sistema che favorisce chi ha le risorse per comprare il silenzio.

Ma c’è di più. Dietro questa campagna di delegittimazione si nasconde un’idea precisa di Europa, un continente che rinuncia al ruolo di leader globale sui diritti umani e sull’ambiente per ripiegarsi su interessi corporativi. I conservatori europei, nel loro attacco alle Ong, stanno costruendo un’architettura politica che esclude le voci critiche e sacrifica la partecipazione democratica sull’altare della convenienza.

Non è solo una questione di finanziamenti. È una battaglia culturale. Le Ong rappresentano un contro-potere, un presidio di responsabilità e trasparenza che oggi è più necessario che mai. Se perdiamo questa battaglia, non sarà solo una sconfitta per loro, ma per tutti coloro che credono in un’Europa capace di ascoltare e rappresentare tutte le sue anime, non solo quelle con i portafogli più pesanti. E questo, in tempi come questi, è già troppo.