di Stefano Sansonetti
Un’offensiva fatta a colpi di campagne pubblicitarie e pressanti attività di lobby. Il terreno di scontro è quello delle forniture di gas in Italia, argomento sempre più delicato dopo la crisi russo-ucraina e dopo le “affinità” sviluppatesi nei giorni scorsi tra il governo di Matteo Renzi e l’amministrazione Usa di Barack Obama. A tal punto che qualcuno, vedendo vacillare il sistema delle forniture da Mosca, tenta di approfittarne il più possibile a proprio vantaggio. A muoversi, in questi giorni, sono sette colossi energetici esteri: Socar (compagnia petrolifera dell’Azerbaigian), Statoil (società di servizi energetici controllata dallo Stato norvegese), l’inglese British Petroleum, il gruppo belga Fluxys, la francese Total, la tedesca E.On e Axpo (fornitore svizzero di energia). Cosa hanno in comune? Semplice, sono gli azionisti di Tap, Trans Adriatic Pipeline, in pratica il progetto di gasdotto che dovrebbe portare in Italia e in Europa il gas del Mar Caspio (10 miliardi di metri cubi l’anno, con la prospettiva di arrivare a 20 miliardi) passando per Grecia e Albania. Il tutto con approdo sulle coste della Puglia, in provincia di Lecce (San Foca, marina di Melendugno). Ebbene, due giorni fa sui principali quotidiani italiani è partita una massiccia campagna per promuovere il gasdotto Tap dai toni piuttosto eloquenti.
I contenuti
Il titolo è già sin troppo indicativo: “Nièt!”. Subito dopo si spiega che “dipendere dal gas russo, ora più che mai, è un rischio per l’Italia”. Ma “grazie al progetto Tap possiamo dire sì a nuove fonti di approvvigionamento”. Certo, il progetto in Puglia è a dir poco contestato, soprattutto per ragioni ambientali. Per questo il mega-spot si affretta ad aggiungere che il progetto si svilupperà “nel rispetto dell’ambiente e con un guadagno per le tasche degli italiani, come sottolineato dalla Strategia energetica nazionale”. Infine il messaggio si conclude con tutta una serie di informazioni che dovrebbero rendere chiara, agli occhi di chi legge (e di chi decide in Italia), la convenienza dell’operazione Tap: “La Russia copre circa il 28% del fabbisogno energetico dell’Italia. Il gas russo che arriva in Italia passa dall’Ucraina, la cui situazione politica è incerta. Anche le forniture di gas che arrivano dalla Libia sono esposte agli stessi rischi di instabilità politica. Se l’Italia può contare su diverse fonti non ci saranno aumenti improvvisi del costo dell’energia”. Insomma, con Tap si potrebbe avere la svolta. Di sicuro tra gli azionisti dell’infrastruttura non ci sono presenze italiane. La divisione delle quote, infatti, è la seguente: Socar 20%, Bp 20%, Statoil 20%, Fluxys 16%, Total 10%, E.On 9% e Axpo 5%.
La strategia
Dietro la massiccia campagna di Tap c’è Giampaolo Russo, country manager per l’Italia della società che sta gestendo il progetto. Ma più che un manager, giura chi lo conosce bene, si tratta di un lobbista con frequenti contatti in parlamento e nelle stanze del governo. Del resto, ora come ora, il compito non sembra affatto semplice. Russo, che ha un passato in Enel, Glaxo-SmithKline, Edison, Arthur D Little e in quell’ex carrozzone pubblico che si chiamava Sviluppo Italia, deve infatti fronteggiare le vibranti proteste che contro il progetto Tap si levano da anni proprio dalla Puglia, la regione sulle cui coste dovrebbe approdare l’infrastruttura. Di certo la sua attività di lobby sta cercando un forcing in un momento che sembra favorevole. Tra l’altro nei giorni scorsi, proprio in riferimento alla crisi russa, l’a.d. dell’Eni Paolo Scaroni ha lanciato l’allarme sul futuro di South Stream, altro progetto di gasdotto (con dentro proprio Eni con Gazprom, Edf e Wintershall) per connettere Russia e Ue evitando l’Ucraina. Insomma, il Tap e i suoi lobbisti si sono inseriti in questo ginepraio sperando di ricavarne il massimo vantaggio. Con quali effetti pratici si vedrà.
Twitter: @SSansonetti