Meglio non usare la parola lobby, portatrice di tanti retro pensieri. È più conveniente usare la parola intergruppo, che invece resta un’espressione più enigmatica a un occhio esterno. Ma cambiando la denominazione, il risultato non cambia: viene esercitata un’attività di pressione per una specifico ambito. Quindi viene svolto un lavoro di lobbying. La ricerca dell’associazione OpenPolis dal titolo “Vedo non vedo” svela uno dei meccanismi che in Italia si muove in assenza di una legge organica. E in questo vuoto si trovano scorciatoie, che non solo di definizione.
Forze trasversali – Il dossier ha individuato ben 26 interguppi parlamentari, un organismo che raccoglie deputati e senatori di vari partiti a servizio di una specifica causa. C’è l’intergruppo “Amici del Bio”, che vede come referente la renziana Silvia Fregolent, c’è quello della “cannabis legale”, capitanato dal sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, e un altro, più noto, sull’innovazione con Antonio Palmieri (Forza Italia) in prima linea. Per non parlare dell’organismo che si occupa della “via Francigena”, che ha come punto di riferimento Alessandra Torresi (Pd), e dello “sviluppo montagna”, con il dem Enrico Borghi come interlocutore. Certo, questi organismi operano nel pieno rispetto della legge: sono strumenti di lavoro trasversale al di là dell’appartenenza politica. Il problema resta, però, la trasparenza. “La materia non è regolamentata ed è quindi difficile capire quale sia la portata (e il significato) del fenomeno”, spiega lo studio di OpenPolis. Anche il numero potrebbe non essere esatto, data la mancanza di un registro. L’associazione individua un altro punto cardine: “Per alcune formazioni si sconfina in modo evidente nell’attività di lobbying. È il caso dell’intergruppo per la sigaretta elettronica, che mira a normare la materia, o di quello per la cannabis legale”. L’autoregolamentazione non brilla per chiarezza: solo cinque integruppi hanno un apposito sito Internet, mentre il 50% non ha addirittura pubblicato sul web l’elenco dei componenti dell’organismo.
Problema europeo – L’Italia non è quindi un Paese da prendere a modello sulla trasparenza dell’azione di lobbying. È stata redatta la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nella sedi della camera dei deputati. Ma “il testo, che è quanto meno un inizio, è stato introdotto pochi giorni dopo l’adozione del codice di condotta dei deputati ma ormai da mesi mancano dettagli su come sia stato sviluppato”, ha rilevato OpenPolis. In questo scenario si inserisce l’iniziativa del ministero dello Sviluppo: Carlo Calenda ha voluto un registro per la trasparenza in cui vengono annotati gli incontri con i lobbisti. Ma quello Roma non è un caso isolato in Europa: tra i Paesi dell’Ue solo Austria, Irlanda, Lituania, Polonia, Regno Unito e Slovenia hanno un registro obbligatorio delle lobby. Insomma, per una volta è difficile anche prendere in prestito un modello estero.