Di Carmine Gazzanni
Se ne comincerà a parlare dai prossimi giorni in commissione Cultura. Il lungo iter per giungere all’abolizione dei finanziamenti pubblici all’editoria (ddl promosso dal M5S) è partito. Conoscendo i lunghi tempi di Camera e Senato è difficile dire sin da ora se si giungerà mai all’approvazione della legge. La speranza, però, è che almeno qualcosa venga sforbiciato. E ce ne sarebbe da tagliare. I rubinetti che mantengono in piedi quotidiani e periodici, infatti, sono tanti, spesso nascosti tra le maglie dei finanziamenti di ministeri ed esecutivo. E così, oltre ai “soliti noti”, a godere di lauti fondi pubblici sono giornali di ogni sorta.
Soldi per tutti
Cominciamo col dire che per il 2014 il dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio ha messo a disposizione circa 140 milioni di euro. Stessa cifra per il 2015 e per il 2016. E, come se non bastasse, ci ha pensato poi la legge di stabilità a rimpinguare il fondo con ulteriori 50 milioni per il 2014, 40 per il 2015 e 30 per il 2016. Insomma, se nulla dovesse cambiare stiamo parlando di ben 190 milioni di euro solo per il 2014. E a godere sono praticamente tutti: imprese editoriali, enti onlus, partiti, cooperative. Insomma, l’importante è editare. Che cosa poi non conta. E così, tra le maglie dei finanziamenti, accanto ai casi clamorosi ma ormai noti dei quotidiani editi da partito (per dire: 3,6 milioni a L’Unità, 2 a La Padania), spuntano giornali di ogni tipologia possibile ed immaginabile. Da Motocross a Noidonne, da Jesus a Buddismo e Società, passando per l’Italia Ornitologica.
Ma non è finita qui. Spazio (e soldi) c’è anche per chi decide di editare quotidiani all’estero (1,4 milioni) e, come se non bastasse, anche per quelle testate edite in Italia e “diffuse prevalentemente all’estero” (altri 600mila euro). Ci fermiamo qui? Certo che no. Perché il dipartimento per l’Editoria pensa anche ai periodici per non vedenti (500mila euro) e, ancora, alle associazioni dei consumatori. Pochi probabilmente ne sono a conoscenza, ma anche associazioni come Codacons, Abusdef, Adiconsum godono di importanti fondi pubblici per un totale di circa mezzo milione. E anche qui con i nomi c’è da ridere: da Adocchiatutto a Risparmio e Futuro fino all’evocativo Robin. Non è questo, però, l’unico rubinetto che abbevera i giornali. Accanto al piatto da 190 milioni del dipartimento per l’Editoria, infatti, ecco spuntare qua e là anche altri contributi di questo o quel ministero. Il ministero della Cultura, per dire, mette ogni anno a bilancio un capitolo per la “concessione di premi in favore delle pubblicazioni di elevato valore culturale”: un totale di 381mila euro che va, manco a dirlo, dritto dritto alle imprese editrici.
Gli altri casi
E non mancano, ancora, casi specifici. Per dire: tra le ultime spese per beni e servizi di Palazzo Chigi spuntano 50mila euro per la fornitura per soli tre mesi (da marzo a maggio) di un giornale. Stiamo parlando de Il Piccolo di Trieste. Capire il motivo di questa spesa resta difficile, a meno che non si pensi siano tanti i triestini che lavorano nelle stanze di Palazzo Chigi. Ma non è tutto. A scorrere la lista delle spese dell’esecutivo ritroviamo una valanga di agenzie di stampa pagate per “fornitura servizi giornalistici”. E, anche qui, parliamo di decine di milioni di euro. Tra i contratti in vigore, ricordiamo quello da 9 milioni ciascuno per AGI e AdnKronos, quello da 7,2 dell’Ansa, da 3 dell’Asca, da 2,5 di TmNews e da 1,2 de Il Sole 24 Ore. Finita qui? Macchè. Soldi, ancora, sono stati concessi a diversi quotidiani (da Il Sole a La Repubblica) anche per la pubblicazione di “indagini esplorative nell’ambito del mercato immobiliare” o per la pubblicazione (col fu Enrico Letta) del decreto del fare. Insomma, ogni occasione è buona per succhiare soldi pubblici.