La moda dell’estate nelle redazioni dei giornaloni mainstream è trasformare ogni parola di un qualunque esponente di M5S e Lega nella prova provata della guerra sotterranea tra le due forze che sostengono il Governo. Non c’è argomento – dalle coppie gay ai vaccini, dalle grandi infrastrutture alla presidenza della Rai, dalla prossima Manovra finanziaria sino alla revoca della concessione alle Autostrade dei Benetton – su cui non si sia vicini alla frattura che farà saltare la maggioranza che più di tutte nella storia italiana ha tanto consenso nelle urne quanta distanza dai poteri forti o sedicenti tali della finanza, delle lobby e di chi ha spolpato per decenni le casse pubbliche.
Finta battaglia – Se però guardiamo ai fatti senza paraocchi ideologici, è del tutto normale e anche salutare che in una coalizione politica ci siano idee diverse, da discutere e mediare in Parlamento e nel dibattito aperto con i cittadini-elettori. Certo, a questi stessi poteri forti faceva più comodo che nelle segrete stanze passasse al momento opportuno la leggina acchiappasoldi che serviva, ma gli italiani si sono stancati di questo andazzo e i vecchi partiti che adesso non contano più, insieme ai loro ascari, faticano a farsene una ragione. Per questo ricamano storielle come quella di Conte e Di Maio determinati a nazionalizzare quei pezzi dell’industria che i privati hanno mandato in malora (Ilva e Alitalia) o hanno gestito in modo tale per cui oggi piangiamo 43 morti su un ponte di Genova. Allo stesso tempo nella Lega ci sarebbe Salvini in stato confusionale, un giorno in rotta con Autostrade e quello dopo pronto a frenare, mentre il suo braccio destro Giorgetti esprime dubbi sulla capacità dei ministeri di gestire direttamente le attività industriali affidate da tempo ai privati. Una rappresentazione della realtà che prova a screditare M5S e Lega, costruendo uno scontro dove non c’è, grazie alla confusione delle diverse fasi di un percorso dove la nazionalizzazione è l’estrema ratio alla svendita dei beni dello Stato. Un furto ai danni degli italiani, che fornisce ai mercati esteri un’immagine del nostro Paese paragonabile a quella dell’Argentina o del Venezuela, dove la svendita dei gioielli pubblici ha portato a inevitabili default. Uno scenario ben più pericoloso di una revoca di concessione al gruppo Atlantia controllato dai Benetton. Revoca che nei Paesi anglosassoni o in Giappone sarebbe stata considerata automatica e pure accettata con un inchino di scuse.
Giorgetti spiega tutto. Stop ai doni del passato
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti al Meeting di Comunione e Liberazione mette in chiaro come la pensa la Lega sul ritorno dello Stato imprenditore. Affidare alla mano pubblica la gestione di servizi come quello delle autostrade non garantisce che si riesca a fare meglio di quanto poco hanno fatto i privati. Per chi stava solo aspettando un segnale della diversità di vedute con gli alleati di Governo dei Cinque Stelle è sufficiente per provare che le due forze politiche sono in assoluto disaccordo. In realtà era stato lo stesso leader del Carroccio Matteo Salvini a spiegare che la Lega è da sempre per una convivenza virtuosa tra pubblico e privato, ma nel caso di concessioni accordate in passato in modo scriteriato si sta studiando anche un possibile ricorso alle nazionalizzazioni. Uno scenario limite, insomma, che però sta mettendo in riga chi ha goduto per decenni di un’autentica cuccagna a spese degli italiani o chi spera di fare ancora affari d’oro con il patrimonio costruito con le tasse e i sacrifici di una nazione intera. Il caso Ilva, in questo senso, è emblematico. Appena il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha ipotizzato una revoca degli accordi firmati dal precedente governo di Matteo Renzi subito i vincitori del bando – il colosso franco-tedesco Arcelor-Mittal – ha alzato l’entità dell’offerta presentata all’allora ministro Carlo Calenda. Lo Stato insomma in troppe occasioni si è rivelato la parte debole con i privati, accordando condizioni persino capestro, come si vede nel contratto firmato con Autostrade per l’Italia, secondo cui il gruppo controllato dalla famiglia Benetton nonostante 43 morti a Genova potrebbe oggi chiedere un risarcimento fino a 20 miliardi nel caso di rescissione della concessione.
Gioco di squadra – “Stiamo studiando e lavorando, sicuramente non faremo i regali che qualcuno ha fatto in passato, quando si sono firmati provvedimenti che hanno fatto guadagnare miliardi ai privati e pagare miliardi agli italiani”, ha detto Salvini commentando la possibilità di nazionalizzare Autostrade. Questo non vuol dire che si arriverà a tanto, ma la Lega non rinuncia a fare un gioco di sponda con i Cinque Stelle a fronte di un contratto come quello sulle autostrade, che per quanto giudicato da molti vergognoso, per come è fatto si presta a una lunga e potenzialmente costosa battaglia legale tra il concessionario e lo Stato. La direzione però è la stessa. Tanto che Giorgetti mette altra legna al fuoco, ricordando che di concessioni troppo generose ce ne sono molte altre, a cominciare dalle società dell’acqua minerale, che riversano nelle casse pubbliche solo le briciole dei guadagni milionari fatti sempre grazie ad accordi stranamente troppo benevoli della politica. Un dato di fatto, quest’ultimo, reso involontariamemte palese proprio al Meeting, dove tra gli sponsor che hanno permesso la manifestazione che consentiva pure a Giorgetti di parlare c’è – guarda che casualità – proprio Autostrade per l’Italia. Non si va dunque verso una legge ad hoc per rinazionalizzare la rete assegnata ai concessionari, fornendo così un segnale poco gradito ai mercati finanziari, ma con questo spauracchio arrivare a diverse condizioni, più vantaggiose per le casse pubbliche, sarà certamente più facile. E in presenza dei morti di Genova e del nostro enorme debito pubblico, anche doveroso.