L’Italia traina il consumo di gas russo, siamo di nuovo il primo importatore

Nonostante le sanzioni e le promesse di indipendenza, l’Italia guida l’aumento del gas russo importato in Ue nel 2024.

L’Italia traina il consumo di gas russo, siamo di nuovo il primo importatore

Nel 2024 l’Unione europea ha aumentato del 18% le importazioni di gas dalla Russia. Avrebbe dovuto essere l’anno dell’affrancamento. Invece è stato quello del ritorno. E in testa al trenino degli acquisti c’è l’Italia, con 4 miliardi di metri cubi in più rispetto all’anno precedente. A voler essere spietati con i numeri: importiamo più gas russo di prima, lo facciamo pagandolo di più, e spendiamo più per finanziare la guerra di Putin di quanto investiamo per aiutare l’Ucraina a difendersi.

Mentre Bruxelles promette indipendenza energetica e annuncia il phase-out del gas russo entro il 2027, il report del think tank Ember ci mette davanti allo specchio. I 45 miliardi di metri cubi arrivati in Europa nel 2024 (contro i 38 dell’anno precedente) raccontano un’ipocrisia perfettamente oliata. E se l’obiettivo di RePowerEu era quello di azzerare la dipendenza da Mosca, la realtà è che la Russia resta ancora oggi responsabile del 14% del consumo europeo. Nonostante due anni di invasioni, massacri, sanzioni e dichiarazioni solenni.

Gas sporco, rotte pulite

Il paradosso è che tutto questo non avviene in segreto. Si conoscono le rotte, i porti, le navi. Si sa che il gas naturale liquefatto russo entra in Europa anche attraverso pratiche di “whitewashing”, rietichettato come “gas europeo” dopo scali nei terminal di Belgio, Francia o Spagna. Si sa che esistono navi “fantasma” che cancellano le rotte per aggirare le sanzioni. Si sa che anche chi, come la Germania, ha vietato l’import diretto continua a consumare gas russo attraverso triangolazioni. È la guerra dei giusti, ma non deve costare troppo. Neanche in bolletta.

In effetti, nonostante le dichiarazioni sulla transizione energetica, l’Ue continua a costruire nuove infrastrutture per importare gas. Solo tra GNL e gasdotti, la capacità di approvvigionamento europea aumenterà del 30% entro il 2030. La domanda, nel frattempo, crescerà appena del 4%. Un eccesso di offerta che rischia di costare ai contribuenti europei miliardi di euro in impianti sottoutilizzati. È il trionfo della logica industriale sulla logica climatica. E anche su quella geopolitica.

Paghiamo più bombe che barelle

Nel 2024 i Paesi Ue hanno speso 21,9 miliardi di euro per comprare combustibili fossili dalla Russia. Nello stesso anno, gli aiuti stanziati per l’Ucraina ammontavano a 18,7 miliardi. Paghiamo più bombe che barelle. Poi applaudiamo Zelensky nei consessi internazionali e ci stringiamo intorno al valore della libertà. Ma il rubinetto non lo chiude nessuno. Anzi, si spalanca.

A trainare questa corsa al gas russo non sono solo Paesi storicamente dipendenti da Mosca. C’è l’Italia, in prima fila. Con buona pace delle promesse del ministro dell’Ambiente, della retorica sulla sicurezza energetica e delle rassicurazioni sulla diversificazione delle fonti. Il nostro Paese non solo ha aumentato l’import, ma lo ha fatto in modo strutturale, investendo in nuovi terminal e gasdotti che consolidano questa dipendenza.

La beffa è che tutto questo avviene mentre il prezzo del gas resta alto: +59% solo nell’ultimo anno sul mercato TTF olandese, da 30 a 48 euro/MWh. Con ricadute dirette sulle bollette. Eppure, l’Ue sembra voler intervenire proprio lì: sovvenzionando il gas importato per contenerne il costo. Come se gettare benzina sul fuoco potesse spegnerlo. Come se tornare a Nord Stream fosse una scelta di buon senso.

“Non sono le sfide tecniche a impedire i progressi – denuncia Pawel Czyżak di Ember – ma le decisioni miopi di alcuni Stati membri”. La leadership europea resta sospesa tra proclami e retromarce. Intanto l’Italia ha già scelto: la guerra può continuare, purché le forniture non si interrompano.