di Andrea Koveos
Se il nostro governo, suo malgrado, non può vendere armi, non gli rimane che regalarle. L’Italia ha omaggiato il Pakistan con 500 veicoli M113 senza armamenti e “in uno stato di degrado”. Si tratta di veicoli per il trasporto truppe già dismessi dal Ministero della Difesa. Lo ha confermato l’allora sottosegretario del governo Monti, Gianluigi Magri, rispondendo a un’interrogazione alla Camera dei deputati. Un regalo non disinteressato visto che, come ammesso dall’esecutivo tecnico, la cessione si inquadra nell’ambito di un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel settore della difesa. E questa cosiddetta cooperazione tra Italia e Pakistan, ha prodotto, solo per l’anno scorso, 31 autorizzazioni alla vendita per un incasso da parte dell’industria bellica italiana di oltre 24 milioni di euro. Nella lista della spesa della Repubblica islamica c’è di tutto: munizioni, bombe, siluri, razzi, missili, navi da guerra e veicoli terrestri.
I contorni della vicenda
La questione non è di poco conto perché, prima di tutto, non si capisce come mai vendiamo armi a un Paese che adotta per metà del proprio codice civile e penale la legge della sharia. Che sia un’iniziativa per consolidare la pace in quelle zone è davvero difficile crederlo. Non è mistero, infatti, che questo Stato sia in conflitto con l’India – altro stato destinatario dei nostri prodotti di morte – assurto agli onori della cronaca per il giallo dei marò. Ma c’è un altro aspetto della vicenda che deve essere chiarito perché il singolare dono rischia di compromettere la salute dei soldati pakistani avendo già gettato ombre sulle cause di malattia e morte di tanti militari italiani. Una parte dei 500 blindati, elargiti così generosamente, è stata oggetto di particolari operazioni di bonifica da materiali radioattivi contenuti nella strumentazione di bordo degli M113. Che questi mezzi fossero difettosi e pericolosi lo conferma un documento in nostro possesso secondo il quale sarebbero state sostituite delle parti radiogene nei cruscotti di 86 veicoli. Sostanze sospette che, secondo Luca Marco Comellini, Segretario del Partito per la tutela dei Diritti di Militari e Forze di polizia, potrebbero essere anche la causa fatale per i militari che in Italia li hanno utilizzati, tra questi il primo caporal maggiore Stefano Porru, in forza al reparto comando della Brigata Sassari.
Non solo Pakistan
Quella con il Pakistan è soltanto una piccola partita dell’intero mercato degli armamenti che l’Italia porta avanti. Nel corso del 2012 le autorizzazioni all’esportazione di armamenti rilasciate dal governo dei tecnici hanno superato la cifra di 2 miliardi 725 milioni di euro. Somma leggermente inferiore a quella dello scorso anno, poiché nelle tabelle ministeriali alcuni importi sono stati inseriti in altri capitoli di spesa, in particolare quelli relativi all’Arabia Saudita conteggiati fra i “programmi intergovernativi”. Inoltre, sono cresciute le effettive consegne di sistemi militari che nel 2012 hanno sfiorato i 3 miliardi di euro. Mentre gli introiti relativi ai programmi intergovernativi di riarmo ammontano a 1 miliardo e 200 milioni. Cifre di tutto rispetto che non conoscono crisi. Nel 2012 il governo italiano ha autorizzato per la prima volta in 20 anni esportazioni di armi ad uso militare. Un export, dunque, che ha aumentato il suo fatturato e con esso anche la possibilità di disarmo di armamenti difettosi che, tra l’altro, il Ministero della Difesa ha problemi a smaltire.