di Francesca Malandrucco
Non sono bastate le tragedie di Sarno, delle Cinque Terre o del Messinese. I politici italiani continuano a sottovalutare la forza della natura.
Così la grande occasione di risanare le ferite del territorio nazionale e metterlo in sicurezza sta franando. Dal Governo erano stati messi a disposizione un miliardo di euro di fondi pubblici. Altrettanti dovevano arrivare dalle Regioni. L’obiettivo era realizzare 1500 interventi di difesa del territorio in un paese, come l’Italia, dove l’82 per cento dei comuni è a rischio idrogeologico. In tre anni avrebbero dovuto piovere progetti, aprire cantieri, mettersi in moto lavori per complessivi 2 miliardi di euro. Insomma era la grande occasione per l’Italia di sanare le ferite inflitte al suo territorio dall’incuria e dall’atteggiamento predatorio dell’uomo, di intervenire nelle aree ad alto rischio per i cittadini, quelle denominate in gergo urbanistico R4.
E invece è rimasta un’occasione mancata. A tre anni dalla firma dei protocolli d’intesa tra il Ministero dell’Ambiente e la Regioni, siglati nel 2010 tra l’allora ministro, Stefania Prestigiacomo, e i governatori, solo un terzo degli interventi sono in fase di progettazione, per un altro terzo non è dato sapere il punto di avanzamento, mentre i cantieri consegnati sono appena 66.
La maggior parte dei lavori è ancora ferma a livello di esecuzione di studi e indagini o in corso di progettazione. Come a dire che sul problema del dissesto, dopo tre anni, le amministrazioni ci hanno appena messo le mani. Di chi è la colpa di tutto questo?
Regioni responsabili
Sicuramente una parte di responsabilità è delle Regioni che sono inadempienti. Non hanno ancora trasferito la loro parte di risorse nelle casse dei Commissari Straordinari delegati alla mitigazione del rischio idrogeologico e nominati dal Governo: complessivamente si tratta di un miliardo di euro. Senza quei fondi pubblici i commissari non possono far partire neanche i progetti preliminari, figuriamoci le gare europee e tantomeno i cantieri. Così almeno una metà degli interventi è ancora sulla carta.
Il caso Lazio è simbolico. Qui la Regione dopo tre anni non ha trasferito neanche un centesimo delle risorse impegnate: 60 milioni di euro. “Senza quei fondi – spiega Vincenzo Santori, commissario per il dissesto nella regione – Non posso dare il via agli interventi. Per ora in cassa sono arrivati solo i fondi del Governo”. Così rischia di sfumare l’occasione di mettere in sicurezza comuni storici di pregio come Civita di Bagnoregio, la media valle del Tevere responsabile delle esondazioni del fiume che minacciano Roma e interi tratti di costa colpiti dalle frane.
Ma il problema riguarda tutte le Regioni italiane che sono in grande sofferenza e hanno chiesto aiuto al Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando.
Il ministero, intanto, ha fatto la sua parte, conferendo ai commissari la gran parte delle risorse previste dagli accordi di programma con le Regioni del sud Italia, quelle dove il problema del rischio idrogeologico è più sentito, a partire dalla Sicilia e dalla Calabria.
Rimangono ancora da reperire una parte delle risorse destinata alle regioni del nord come la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia Romagna, ma anche la Toscana, le Marche e l’Umbria.
Lungaggini burocratiche
Le responsabilità però sono ben ripartite anche tra i comuni, che avrebbero dovuto presentare i progetti preliminari in tempo e sono ancora in ritardo, le soprintendenze che impiegano settimane prima di dare il loro “nulla osta”, perfino il Genio Civile che a volte fa sospirare il parere necessario per far partire i lavori.
“Ci sono difficoltà obiettive dovute alle procedure burocratiche – racconta il commissario straordinario del Lazio -. Per esempio noi abbiamo assegnato ai comuni il compito della progettazione degli interventi e molto spesso sono loro ad essere in ritardo. C’è poi il parere della Conferenza dei Servizi, dove si verifica il rispetto o meno dei vincoli territoriali urbanistici e ambientali. Solo quando il progetto è licenziato a livello centrale possiamo partire con le gare. Nel caso, poi, di eventuali espropri delle aree, dobbiamo aspettare che siano i comuni a farlo. E i tempi si allungano”.
Insomma prima che possa aprire un cantiere passano alcuni mesi. Sembra difficile che si possa arrivare a consegnare anche solo il 50 per cento degli interventi entro la fine del 2014, termine ultimo dato ai commissari.
Insomma ognuno in questa vicenda ha la sua parte di colpa. La “cattiva” politica e la burocrazia italiana stanno strozzando un’operazione che doveva mettere in sicurezza il territorio. Ma questa non è la solita storia di mala gestione dei fondi pubblici. A rischio è la vita stessa delle persone.
Nel Lazio aperti solo 8 cantieri su 71
Ponza e Ventotene sono regine del dissesto idrogeologico, ma i progetti qui proprio non partono. I due gioielli dell’arcipelago delle Isole Pontine sono in cima all’elenco dei 71 interventi urgenti per la messa in sicurezza del territorio del Lazio. Ma neanche la morte di due ragazze a Ventotene, nell’aprile del 2010, ha svegliato le istituzioni. In tre anni niente si è mosso.
Cale pericolose
A Ponza, sono molte le aree da mettere in sicurezza. Si tratta per lo più di cale e calette estremamente frequentate dai bagnanti nei mesi estivi. Solo un intervento, però, è stato messo a gara, per un investimento di 715 mila euro di fondi pubblici. Per gli altri cantieri i tempi si allungano. E in alcuni casi la soluzione sembra molto difficile da trovare.
Come nel caso del cimitero monumentale di Ponza, costruito proprio sopra le Grotte romane di Pilato. Lasciare un fiore sulla tomba dei propri cari oggi è diventato pericoloso. Il terreno del piccolo cimitero a picco sul mare, rischia di franare. “Il pericolo è rappresentato dalle Grotte di Pilato – spiega Vincenzo Santoro, il Commissario Straordinario per il dissesto nel Lazio – è lì che dobbiamo intervenire”. Così i tempi si allungano e i circa 700 mila euro stanziati forse non bastano più.
C’è poi il caso di Ventotene, dove nel 2010 hanno perso la vita due ragazze di 14 anni, proprio in seguito al distaccamento di un costone di roccia, che avrebbe dovuto essere messa in sicurezza. Qui è stato aperto solo un cantiere su sei. Per gli altri si aspetta ancora di vedere i progetti preliminari.
Il caso nel viterbese
Non poteva mancare nell’elenco degli interventi di messa in sicurezza Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, conosciuta anche come la “città che muore”. Il piccolo borgo, un gioiello unico in Italia, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito alla fine degli anni ’60 del ‘900. Dopo una frana che ha messo a rischio l’accesso al ponte ora si sta lavorando per la messa in sicurezza. Il progetto originario per un valore di 2 milioni di euro interessava solo una parte della passerella di accesso alla cittadina. In seguito l’intervento è stato ampliato e i lavori ora sono in corso. Anche in questo caso i tempi si sono allungati proprio in seguito alla rimodulazione del progetto che non era stato considerato sufficiente a risolvere il problema della messa in sicurezza.
Collina ai Parioli
Tempi lunghissimi anche per uno degli interventi più importanti che riguardano Roma, il consolidamento della collina dei Parioli, un lavoro che vale quasi 5 milioni di euro di fondi pubblici. In questo caso i passaggi di approvazione del progetto esecutivo sono stati più lunghi.
Nell’area, infatti, si trovano le Catacombe di San Valentino, che appartengono come competenza alla Sopraintendenza Archeologica del Vaticano, che ha voluto seguire passo dopo passo le fasi di elaborazione del progetto. Ora finalmente la gara è partita, ma ci vorranno mesi prima dell’apertura del cantiere.
“E’ gravissimo che dopo tre anni dalla firma del protocollo d’intesa solo un quarto delle risorse a disposizione sia stata messa in campo – denuncia Giuseppe Simeone, consigliere regionale del Lazio, nelle fila del Pdl – Il ritardo nella mancata messa in sicurezza di chilometri di costa da Roma fino a Gaeta, preoccupano gli amministratori locali, ma anche i cittadini che frequentano le spiagge in questo periodo dell’anno. Vorrei conoscere lo stato di avanzamento dei lavori, progetto per progetto. Per questo ho presentato un’interrogazione urgente”.