A poche ore dall’attentato, immancabile, è arrivato il commento sprezzante di Matteo Salvini che, ovviamente, ha lasciato a Facebook il suo sfogo nazionalista: “Mentre qualcuno prepara gessetti colorati e marce per la pace, io penso che l’unica risposta possibile siano tolleranza zero, controlli a tappeto e l’uso della forza. In guerra, chi tace o collabora è un complice”. Complice, manco a dirlo, scritto a caratteri cubitali. Così, per non sbagliare. Messaggi d’odio che annullano la grande manifestazione di pace e accoglienza che si è vista questo fine settimana a Milano. E poco dopo ancora lui, Salvini, ha rincarato la dose: “Sono stufo – ha aggiunto – del buonismo, della tolleranza, del silenzio e della complicità, mi aspetto una reazione forte se verrà confermata la matrice terroristica”, concludendo che “a monte bisogna controllare gli sbarchi, perché più sbarchi significano più delinquenza”. Qualcuno dovrebbe dire al leader della Lega che – esattamente come accaduto, suo malgrado, anche in passato – il flusso migratorio non c’entra niente, dato che l’attentatore, secondo quanto riferito dai media britannici era britannico (con origine libiche) e già noto alle autorità. E allora, di grazia, di quale flusso si sta parlando? Eppure, nell’epoca della post-verità, non conta ciò che sia reale, ma solo chi grida più forte e allora gioco facile hanno, in queste circostanze, Salvini e Marine Le Pen, entrambi a sentenziare sulla necessità di chiudere a priori confini e usare la forza.
L’establishment resiste – C’è, però, un dato che è incontrovertibile. Perché se da una parte abbiamo gli slogan dei nazionalismi xenofobi che evidentemente ora hanno facile spazio nell’odio per il diverso, dall’altra l’establishment deve andare oltre le drammatiche ma facili frasi di circostanza che seguono a simili attentati. “Mi si spezza il cuore a pensare che, ancora una volta, il terrorismo ha cercato di infondere paura dove dovrebbe essere la gioia, di creare divisione dove giovani e famiglie dovrebbero trovarsi per una festa”, ha commentato Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Ue, che ha aggiunto che gli attentatori “sottovalutano la nostra e la vostra resilienza. Questi attacchi codardi, invece, rafforzeranno solo il nostro impegno a lavorare insieme per sconfiggere gli autori di tali atti vili”. La domanda, però, è: quale impegno, nel concreto? Domanda che pesa come un macigno. Emmanuel Macron, neo-eletto presidente francese, ha espresso “orrore” e “costernazione” per l’attentato. In un comunicato di Parigi si legge che il presidente si dice al fianco del popolo britannico, garantendo che “insieme al governo e alle forze britanniche proseguirà la lotta contro il terrorismo“. “Tristezza e orrore”, ha commentato ancora la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha espresso a sua volta la “vicinanza al Regno Unito”. Tutte giuste e belle parole. Ma ora occorre mettere in campo. E bene si farà, come annunciato, a ribadire il “messaggio di coesione e unità nella lotta al terrorismo” in un documento ad hoc che sarà prodotto dal G7 di Taormina. Ma ora occorre far fronte comune, anche con lo stesso Vladimir Putin (che Macron ha già detto di voler incontrare, in vista di una task-froce). Perché il nemico è comune. E le divisioni, ora, non servono.