Michele De Pascale, candidato del centrosinistra in Emilia-Romagna, teme un effetto Liguria, anche sul fronte astensione, nella sua Regione? È preoccupato dall’ondata di vittorie elettorali della destra?
“Sul tema dell’astensione, più che dell’effetto Liguria sono preoccupato da una tendenza che sta vedendo tutte le Regioni italiane che non raggiungono il 50% di affluenza alle urne. Se guardiamo a due Regioni vicine, come Lombardia e Liguria, si è arrivati al 41% e al 45%. È grave da un punto di vista democratico che un ente su cui dal basso e dall’alto sono incentrate sempre più funzioni mostri una partecipazione elettorale sistematicamente così bassa, è un vulnus democratico vero. Sugli esiti del voto, non credo nelle influenze di una Regione rispetto a un’altra, abbiamo avuto la vittoria del centrosinistra in Sardegna e sembrava che dovesse influenzare l’Abruzzo, invece ha vinto il centrodestra”.
Il campo largo in Emilia-Romagna ha retto, ma non senza veti, liti e compromessi. Guardando anche ad altre elezioni del recente passato, pensa che queste divergenze possano avere un peso sul voto?
“In realtà noi siamo la rappresentazione di come un campo per l’Emilia-Romagna, una coalizione, abbia saputo essere più forte delle tensioni politiche nazionali. Dal primo minuto abbiamo impostato la campagna non come santa alleanza contro la Meloni, ma come progetto per l’Emilia-Romagna e con un gruppo dirigente locale coeso, senza scontri personali tra gli esponenti della coalizione e ci siamo allargati anche a 60 soggetti civici. Sono molto fiducioso e sono anche riconoscente ai leader nazionali delle forze politiche”.
La destra chiude la campagna elettorale unita, con quasi tutti i suoi leader sul palco, mentre non fa lo stesso il centrosinistra. Crede sia un errore da parte dei leader nazionali?
“È il contrario, a parte la convention della destra un po’ azzoppata dall’assenza della presidente del Consiglio, è proprio l’approccio che abbiamo dato noi che è diverso. La mia avversaria ha sempre detto che ha ricevuto mandato dai leader nazionali per essere candidata. Io vado sul palco con tutti i candidati dell’Emilia-Romagna, i cittadini voteranno per loro e per la squadra che governerà e non abbiamo portato una coalizione locale in uno scenario nazionale in cui quella coalizione non c’è. Abbiamo un programma più credibile”.
Quelle della destra a Bologna, con la presenza delle “camicie nere”, è stata una provocazione nel tentativo di influenzare il voto?
“Io non faccio commenti su cose che non conosco, non so qual è stata la genesi della scelta di CasaPound di manifestare a Bologna. Penso che le organizzazioni nostalgiche del fascismo andrebbero sciolte e ho visto quella manifestazione alla stazione di Bologna come un’offesa, un insulto. Il sentimento di Bologna e dell’Emilia-Romagna rispetto a quel luogo va conosciuto per capirlo, è un luogo che non si può infangare, non si può toccare. Il comitato per l’ordine e la sicurezza aveva spostato in altro luogo, ma nessuno ha ancora spiegato al sindaco di Bologna, che ha difeso la sua comunità, perché quella manifestazione è stata in stazione a Bologna. Nessuno ha dato della fascista a Meloni, noi vorremmo che la Meloni si dicesse antifascista e invece il governo non riesce a opporsi rispetto a questi movimenti di estrema destra perché vuole i loro voti o ha paura che nasca una destra di opposizione”.
In caso di vittoria, quali saranno le sue priorità e quale la prima cosa che farà?
“In questo momento per l’Emilia-Romagna la priorità assoluta è un cambio di passo nel post-alluvione. Io ho detto che lo farò, la mia avversaria no: il neo-presidente deve chiamare la presidente del Consiglio e chiedere di essere commissario alla ricostruzione e imprimere un cambio radicale, con una velocizzazione, per mettere in sicurezza il territorio. Seconda cosa, un grande cantiere per la salute pubblica, quindi una battaglia nazionale per i fondi e locale per le riforme. Terzo punto, convocare il patto per il lavoro e per il clima per rinnovarlo con due focus, uno mirato sulle politiche industriali per i settori in crisi e quelli che rischiano di andarci e secondo il tema della casa, diventato pesante in quanto siamo una regione molto attrattiva”.
Sul post-alluvione perché vuole proporsi come commissario, è un segnale di sfiducia anche nei confronti dell’attuale commissario Figliuolo?
“Penso che serva un patto repubblicano tra il prossimo presidente della Regione e la presidente del Consiglio. Serve che ci sia a capo della struttura qualcuno attivamente coinvolto nella realizzazione delle opere, che coordini gli enti e penso che questa figura debba essere il presidente della Regione, e che i cittadini abbiano il diritto di sapere a chi sono affidate le responsabilità. i poteri, le risorse e poi giudicare come li hanno esercitati. In questo momento il sentimento prevalente dei cittadini, io dico anche comprensibilmente, è di astio e sfiducia nei confronti di tutti, perché non sono nemmeno chiare le responsabilità di quello che è stato o non è stato fatto. Io con la Meloni sono alternativo, ma penso che anche chi è radicalmente diverso trova un punto di intesa”.