di Maria Giovanna Maglie
Speriamo che oggi, ore dieci, Camere riunite, sia l’ultima volta, che prevalga almeno una persona degna, che l’accordo preluda a un governo di larghe intese e di responsabilità nazionale, un governo guidato da una persona altrettanto degna o almeno sveglia. I nomi che circolano come in una comunicazione clandestina alla fine della giornata di ieri un po’ rassicurano, perché sembra escluso il nome rancoroso di Romano Prodi, scendono le quotazioni di Borsa del dottor Sottile, Giuliano Amato, si affermano i nomi di Franco Marini e di Massimo D’Alema. Niente di più o di più rassicurante però perché per il resto il rito del Quirinale con contorno di scelte creative sul web e di sondaggi Sky news è veramente stantio. Solo da noi, dove si recita come uno stanco mantra una Costituzione che alla prova dei fatti i recitatori entusiasti neanche conoscono, solo da noi si elegge con rito barbarico dell’inciucio parlamentare un presidente che deve durare il tempo lunghissimo di sette anni, i cui poteri sono avvolti nella nebbia e per questo sono immensi. Gli altri Paesi i presidenti, i premier, i cancellieri, i numeri uno di Downing Street li eleggono democraticamente, ovvero in base a una selezione politica aperta, che dura da qualche mese a due anni e con elezioni primarie vere e non scopiazzate a uso d’apparato. Invece da noi nel Paese dei Mandarini, il presidente della Repubblica è il frutto stanco della fiera dell’inciucio, le Camere riunite nella pantomima di un gigantesco “seggio elettorale”, nel quale gli elettori non contano niente, e quel nome che spunta alla fine lo devono votare per forza o rifugiarsi in un altro stanco rito goliardico del franco tiratore; quel nome, prima forte di due terzi di voti, poi ridotto fino al saldo finale, ai rigori, è di bandiera, di compromesso, di convergenze, di agguati, di rivalità, di ipocrisia sulle donne, mai di scelta civile e politica.
Non so se il metodo italiano di elezione del capo dello Stato avesse un senso sessantacinque anni fa, oggi è un ferrovecchio.
Speriamo che oggi sia l’ultima volta, e che si faccia presto, che almeno un passo piccolo avanti si faccia accettando lo strappo di Silvio Berlusconi. Il Cav redivivo per grazia ricevuta di moderati e liberali ha rivendicato il diritto a un presidente che garantisca tutti, che sia complementare alle scelte del governo, legato a una politica di grande coalizione, coerente con il risultato elettorale, adeguata alla crisi che schiaccia l’Italia. Saremo anche dei gran piagnoni, gente capace di accumulare fino a quattro pensioncine da fame, ma si sta davvero male, tra austerità e pressione fiscale senza più alcuna prospettiva di crescita economica, di aumento della base occupazionale, reddito e consumo come paralizzati. Siamo smarriti come non ci succedeva da un tempo lontanissimo, neanche il paragone con lo tsunami del 1992 è adeguato, perché allora le certezze economiche non furono immediatamente toccate. Berlusconi ha avuto la saggezza e la pazienza di incalzare un Bersani profondamente confuso, ricordandogli che ci vuole una grande coalizione di stile europeo per rimettere le cose a posto e rispondere all’ansia di soccorso del Paese. Se il presidente della Repubblica sarà frutto faticato di uno spirito di intesa, almeno una ragione di sollievo ci sarà. Il senso di urgenza è straziante per chi ami l’Italia ma la sappia anche guardare con il dovuto distacco. Per le riforme il tempo sta scadendo. Vi piace il sistema alla Grillo? A me no, nemmeno fatto salvo il dovuto rispetto per chi quel movimento ha ritenuto utile votarlo nelle urne. Ma il grillismo ci circonderà con le sue urla, le spacconate, il populismo d’accatto, la protesta spacciata per sostanza, se il sistema non cambia e rapidamente. Ieri a Londra hanno seppellito con la pompa formale della quale sono capaci , con il rispetto per la forma che conta quanto la sostanza, Margareth Thatcher. Noi abbiamo il Parlamento invaso di politici improvvisati, arroganti, un tribuno scalmanato della plebe parla di politica gridando “culo” e “ cazzo” ogni tre parole. Bisogna fare presto.