Nessun capriccio del Movimento 5 Stelle, ma la richiesta di attenzione su temi che dovrebbero diventare prioritari nell’agenda politica, in particolare nell’area progressista. Dal Superbonus al salario minimo, passando per la tutela del Reddito di cittadinanza, che “è stato sottoposto a uno sfregio simbolico nel decreto Aiuti”. Stefano Fassina, deputato di Leu, chiede un cambio di passo al centrosinistra. “La crisi è sociale”, dice in questa intervista a La Notizia, “non è interna al Palazzo”. Per questo motivo invita a evitare “il linciaggio” nei confronti di Giuseppe Conte. E bacchetta chi esclude l’alleanza con il Movimento 5 Stelle dopo la crisi di governo: “Sarebbe un fatto grave”.
Come si è arrivati a questa crisi di governo?
“C’è stata una sottovalutazione della crisi sociale. Il dibattito in corso è un linciaggio al Movimento 5 Stelle e di Giuseppe Conte e avviene in riferimento esclusivo a dinamiche di Palazzo. Viene rimossa la realtà che c’è nel Paese. La crisi politica è una conseguenza di quello che c’è fuori dai Palazzi”.
Sarebbe frutto quindi di un risultato deludente dell’operato del governo Draghi?
“Bisogna essere franchi: la situazione è difficile. Dopo la pandemia c’è la guerra, con fattori che sono al di fuori del controllo di governi nazionali, come l’inflazione. Non era un compito facile anche con una maggioranza formata da partiti che, legittimamente, propongono delle ricette molto diverse. Ma è pur vero che è mancata la giusta attenzione alle istanze che il Movimento 5 Stelle ha espresso in questi mesi”.
Quali sono le misure poco considerate?
“Mi riferisco al Superbonus, al salario minimo, al Reddito di cittadinanza. Ma anche alla difesa del potere di acquisto. C’è la responsabilità politica di aver derubricato queste richieste alla stregua di un’azione strumentale da parte del Movimento 5 Stelle. Sono invece temi che avrebbero dovuto occupare uno spazio prioritario dell’agenda di governo. Non è un caso che i sindacati siano stati convocati solo negli ultimi giorni: è avvenuto grazie a una presa di posizione molto netta manifestata dalla lettera di Conte consegnata a Draghi”.
Allora c’è pure una responsabilità del centrosinistra sulla scarsa attenzione a queste battaglie.
“Le responsabilità sono di tutti. Il fatto centrale è che il confronto non può essere portato avanti con gli aut aut nei confronti del Movimento 5 Stelle, proprio perché la crisi è sociale. Nell’area progressista andrebbe riconosciuto prima di tutto questo dato”.
La crisi del governo Draghi sancisce anche la fine del dialogo tra centrosinistra e Movimento 5 Stelle, l’ormai noto campo largo immaginato da Letta?
“Sarebbe un fatto grave. Ritengo invece che l’area progressista debba assumere delle priorità sociali. Vanno dall’introduzione di un tetto al prezzo del gas, come hanno fatto Spagna e Portogallo, a tutela del potere d’acquisto dei cittadini. E poi occorrono interventi significativi sul cuneo fiscale, l’approvazione della legge sul salario minimo, la riattivazione delle clausole per quanto riguarda i contratti di lavoro a tempo determinato. Invece in queste ore si va avanti a colpi di ultimatum, al posto di mettere in campo una seria azione politica”.
Intravede la possibilità di uscire da questa crisi di governo senza andare al voto?
“Tutto è legato dall’agenda del governo. È evidente che quando si parla di grandi difficoltà economiche, di emergenze sociali, è opportuno che ci sia un governo in carica, nella pienezza di potere. Ma attenzione: è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per questo insisto sul fatto che non bisogna fare la gara a chi bastona di più i 5 Stelle e Conte, additandoli come responsabili della crisi. Al contrario, serve indicare delle priorità di intervento da portare nell’agenda di governo”.
Quindi se occorre una modifica all’iniziativa politica, significa che l’agenda Draghi non risponde a queste esigenze.
“È stata un’agenda di una coalizione che aveva al suo interno anche la destra. Quindi non poteva avere quelle priorità indicate. E l’agenda è entrata in crisi proprio perché si è manifestata la crisi sociale nella sua forma più acuta. Una coalizione così eterogenea non può reggere di fronte a un quadro del genere”.
Però per oltre un anno è andata avanti.
“C’è una parte della coalizione che, con una certa complicità anche del centrosinistra, attacca tutti i giorni il Reddito di cittadinanza. E c’è anche un governo che, nel decreto Aiuti, ha dato parere positivo a un emendamento della destra (che consente di conteggiare tra le proposte anche quelle fare direttamente dal datore di lavoro, ndr) che è uno sfregio simbolico proprio al Reddito di cittadinanza. Una misura che, come ha ricordato l’Istat, è stata una ciambella di salvataggio per milioni di persone”.
Difficile proseguire con questo andazzo, allora?
“È chiaro che in questo modo è difficile andare avanti. Sottolineo anche che è stato sbagliato non innalzare i prelievi sugli extraprofitti, magari allargandoli ad altri settori, per dedicarli al supporto fiscale per le fasce più in sofferenza. Sono problemi molto seri, che non ha hanno ricevuto adeguata attenzione”.
Si torna al punto di partenza: il deficit di azione è da addossare al governo?
“Per sua natura questo governo non riesce a fare determinati interventi. Per questo bisogna cercare un consenso con l’altra metà del campo, quello del centrodestra. Faccio un esempio: la questione del superbonus è stata posta principalmente dal Movimento 5 Stelle, ma è stata condivisa da tutta la coalizione. È stato compiuto un lavoro di costruzione del consenso intorno a priorità che non sono capricci e bandierine del M5S. Sono argomenti sentiti fuori dal Palazzo”.
A oggi c’è uno spiraglio d’intesa?
“Dalle dichiarazioni ufficiali emerge che la leva usata verso i 5 Stelle è il ricatto e la demonizzazione di Conte, con l’accusa di irresponsabilità. Non vedo una disponibilità al confronto per definire un’agenda per affrontare la crisi sociale. Si cerca la scorciatoia di isolare il Movimento, come se il problema fosse il termometro e non la febbre che c’è nel Paese”.