L’illusione della parità di genere: l’Inps smonta la propaganda pro-famiglia delle destre

Il rapporto Inps 2024 svela: le madri italiane costrette a scegliere tra figli e lavoro. Le misure del governo? Un fallimento annunciato.

L’illusione della parità di genere: l’Inps smonta la propaganda pro-famiglia delle destre

Il XXIII Rapporto Annuale dell’Inps del 2024 delinea un quadro che smentisce le narrazioni ottimistiche della maggioranza governativa. Nonostante gli sforzi legislativi sbandierati con orgoglio dalla presidente del Consiglio il Paese continua a rappresentare un contesto ostile per le madri, costrette a barcamenarsi tra lavoro e famiglia in un sistema che non riconosce né valorizza il loro ruolo. I dati del rapporto evidenziano che non si tratta soltanto di una questione economica ma di un problema radicato nelle strutture profonde del mercato del lavoro, dove la disparità di genere è una costante difficilmente scalfibile.

Il mito infranto: occupazione femminile e maternità

A maggio 2024, il tasso di occupazione femminile era del 53,5%, ancora ben lontano dal 70,9% maschile. Queste cifre si traducono in una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e in una presenza concentrata in settori a bassa retribuzione, spesso legati a contratti temporanei o a tempo parziale. Le donne sono costrette a ridurre l’orario lavorativo o a scegliere lavori meno qualificati per conciliare le esigenze familiari, sacrificando così prospettive di carriera e stabilità economica.

L’analisi del rapporto evidenzia un dato allarmante: la nascita di un figlio rappresenta un evento cruciale per le carriere delle donne. Nei primi tre anni di vita del bambino, il 30% delle madri abbandona il lavoro o riduce drasticamente l’impegno professionale. Il congedo parentale, che nelle intenzioni dovrebbe favorire una ripartizione più equa delle responsabilità familiari, viene utilizzato quasi esclusivamente dalle donne, che nel 2023 hanno usufruito del 90% delle giornate complessive di congedo. Nonostante l’introduzione di un congedo obbligatorio di paternità retribuito al 100% per una durata di 10 giorni, l’adesione da parte dei padri resta bassa, con un take-up pari al 64,5%.

Questi numeri indicano un’asimmetria di fondo nelle politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro: le madri sono ancora le prime a fare un passo indietro sul piano professionale per far fronte alle esigenze familiari. Questa situazione è aggravata da un sistema di welfare frammentato e inefficace, che lascia scoperti molti dei bisogni fondamentali delle famiglie italiane. Anche il Bonus Asilo Nido, che nel 2023 ha raggiunto circa 480mila bambini, è percepito come insufficiente: copre solo in parte i costi di gestione della cura infantile, spingendo molte donne a preferire soluzioni casalinghe e riducendo ulteriormente le opportunità di impiego.

Un ulteriore elemento di criticità emerge dalla perdita salariale subita dalle madri nel periodo successivo alla nascita di un figlio. Il congedo di maternità, retribuito all’80%, copre solo parzialmente le esigenze economiche delle famiglie. Secondo le stime riportate nel Rapporto, se non fosse per il congedo, la perdita salariale nel primo anno di vita del bambino sarebbe vicina all’80% del reddito annuale della madre. L’incremento del valore del congedo parentale per una delle tre mensilità (elevato al 80% della retribuzione) ha portato a un lieve aumento delle richieste, ma la misura resta ancora lontana dal garantire un’adeguata tutela economica e sociale.

La retorica di un Paese che “accompagna le madri” si scontra con una realtà in cui le donne, una volta diventate madri, faticano a rientrare nel mercato del lavoro, vedendo compromessi non solo il proprio sviluppo professionale ma anche il contributo previdenziale per il futuro. Tutto questo genera un circolo vizioso che vede la povertà e la precarietà economica femminile aumentare, con ricadute pesanti anche sulle generazioni future.

Politiche insufficienti: il fallimento del welfare familiare

Nel quadro delle misure previste dal governo per sostenere la natalità e l’occupazione femminile, l’Assegno Unico e Universale (Auu) rappresenta uno dei principali strumenti di sostegno economico. Tuttavia, la misura, pur avendo raggiunto una copertura del 93% delle famiglie con figli nel 2023, non è sufficiente a risolvere il problema della denatalità e della difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata. Le risorse stanziate per l’assegno – pari a 18 miliardi di euro nel 2023 – mostrano l’intenzione del governo di investire sulle famiglie, ma non affrontano la radice del problema: la mancanza di politiche strutturali che permettano alle madri di non dover scegliere tra lavoro e famiglia.

Anche sul fronte delle politiche aziendali, la situazione appare poco incoraggiante. Gli strumenti di flessibilità, come lo smart working, sono applicati in modo limitato e spesso non strutturato. Il risultato è che le madri continuano a essere costrette a sacrificare la propria carriera, vedendo così consolidarsi il divario salariale di genere. I dati INPS indicano che la differenza retributiva tra uomini e donne, già significativa prima della maternità, si amplia in modo drammatico dopo la nascita di un figlio. Il divario salariale, che nel 2023 si attesta a una media del 30%, è ancora più accentuato nelle regioni del Nord, dove le donne guadagnano circa il 35% in meno rispetto ai colleghi maschi.

Con buona pace della propaganda la realtà dimostra che l’Italia non è un Paese per madri.