“Un intervento militare, oltre a non essere risolutivo, toglierebbe all’Italia quell’autorevolezza di cui, anche per ragioni storiche, gode in Libia”. Non ha dubbi Pino Cabras, deputato M5S in commissione Esteri di Montecitorio.
È quindi escluso qualunque intervento italiano in Libia che non sia di natura diplomatica?
“Assolutamente. Il ruolo di natura diplomatica che l’Italia può giocare in Libia, anche in ragione dell’influenza geografica millenaria del nostro Paese in quell’area, oggi ancora più forte anche per i reciproci interessi petroliferi, può essere decisivo. L’Italia, d’altra parte, è il primo referente della Libia”.
Con quali priorità e quali obiettivi in questa delicata fase l’Italia dovrebbe portare avanti la sua azione diplomatica?
“Tutti gli attori coinvolti in Libia sono costretti a giocare in modo multilaterale. La Francia, ad esempio, ha dato appoggio diplomatico – e non solo – ad Haftar insieme alla Russia e all’Egitto. Ma l’Egitto è legato anche all’Arabia Saudita, che sta intervenendo sul campo, agli Emirati Arabi e agli Stati Uniti. Una geografia variabile, quindi, in cui tutti gli attori sono coinvolti anche se su altri scenari geopolitici sono in competizione fra loro. Un contesto frammentato come quello libico rende, quindi, ancora più cruciali doti di mediazione e risorse diplomatiche che non siano unilaterali e non perseguano obiettivi di potenza”.
Nell’escalation della crisi libica vede responsabilità della politica estera della Francia e, in particolare, di Macron?
“C’è certamente un peccato originale: la guerra del 2011 indotta dall’iniziativa dell’allora presidente Sarkozy che ha coinvolto la Francia nella situazione della Libia più di quanto non lo fosse prima in ragione del legame organico con la cintura dei Paesi africani a sud della stessa Libia. Oggi la Francia si sta muovendo, al pari di altri attori, su una scacchiera mobile e come altri attori gioca con i riferimenti e le risorse a propria disposizione”.
Intanto gli Usa hanno ritirato il loro contingente militare dalla Libia. Una scelta in linea dalla politica isolazionista di Trump o che altro?
“C’è una ritrosia di Trump, già manifestata in Siria, a coinviolgere gli Usa direttamente sul campo. I costi, anche politici, di una presenza in un contesto così complicato come quello libico sarebbero superiori ai benefici. Ma, allo stesso tempo, Trump ha ricreato un sistema di alleanze – qualcuno la chiama la Nato araba – che va dall’Egitto all’Arabia Saudita agli Emirati Arabi, che sono tutti coinvolti in questa guerra. Un tentativo, in sostanza, di governare la crisi in modo multilaterale nell’interesse degli Stati Uniti”.
C’è chi, tra i 5 Stelle, ha parlato della necessità di attivare corridoi umanitari per assistere i civili in fuga dalla guerra. È una proposta che condivide?
“E’ dovere di qualsiasi Stato prevedere anche lo scenario più catastrofico che in Libia non è da escludere anche se non è al momento il più probabile. Abbiamo visto, del resto, gli effetti destabilizzanti della guerra del 2011 che devastò l’economia della Libia costringendola ad espellere due milioni di immigrati da altri Paesi africani”.
Alla luce degli ultimi eventi, ritiene che la Libia possa essere considerata un porto sicuro come sostiene Salvini?
“In questi giorni non è un Paese in grado di garantire sicurezza. Anche l’intervento di salvataggio di oggi (ieri, ndr) da parte della Guardia costiera libica è stato molto tardivo. Le priorità delle autorità in conflitto, in questo momento, non sono certo quelle del soccorso in mare. La situazione andrà valutata nella sua evoluzione”.