Pensava di essersela cavata Giorgia Meloni. Con una letterina inviata alla “Cara Ursula” (von der Lyen, ndr), nella quale (secondo lei) smontava tutte le “fake news” contenute nel pesantissimo report sullo Stato di diritto dell’Unione europea, che aveva lanciato l’allarme sul pluralismo negato in Rai e sulle mani dell’esecutivo su viale Mazzini.
Per fugare ogni accusa di controllo del governo sulla tv pubblica, Giorgia era arrivata a negare l’evidenza: “Anche l’attuale governance è stata determinata dal Governo precedente (Governo Draghi), con Fratelli d’Italia unico partito di opposizione che si è reputato allora di escludere perfino dal Consiglio di Amministrazione della Rai creando, questa volta sì, una anomalia senza precedenti in Italia e in violazione di ogni principio di pluralismo del servizio pubblico”, ha scritto.
Per Giorgia Fratelli d’Italia fuori dal Cda Rai
“È bene ricordare che, salvo la nomina obbligata di un nuovo Ad nel 2023 a seguito delle dimissioni del suo predecessore, l’attuale Governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene non si sono ancora avvalsi della normativa vigente per il rinnovo dei vertici aziendali. Gli attuali componenti del CdA della Rai, come ricordato, sono stati nominati nella scorsa legislatura da una maggioranza di cui Fratelli d’Italia non era parte, non si comprende dunque come si possa imputare a questo Governo una presunta ingerenza politica nella governance della Rai” aveva aggiunto.
“Da parte del Governo italiano confermo ogni sforzo per assicurare in Italia e in Europa il pieno rispetto dei valori fondanti alla base dell’Unione Europea”, aveva quindi continuato, “e l’assiduo impegno a far progredire l’Italia nell’ambito della libera informazione, del contrasto alle fake news e del pluralismo del servizio pubblico radio televisivo dopo decenni di sfacciata lottizzazione politica”. Inoltre la premier aveva concluso lagnandosi per gli “attacchi maldestri e pretestuosi” dei “professionisti della disinformazione e della mistificazione”.
Le verità omesse da Meloni
Formalmente inappuntabile, la versione di Giorgia Meloni, se non fosse per le omissioni che si è guardata bene dal colmare nella lettera di risposta inviata a Bruxelles.
Per esempio la premier ha sì ammesso di aver nominato l’Ad Roberto Sergio (nomina ratificata il 15 maggio 2023), ma ha omesso sia che per sbloccare la partita del nuovo amministratore delegato aveva dovuto risolvere la grana del predecessore Carlo Fuortes, (dimessosi l’8 maggio 2023), con il relativo pasticcio e le polemiche seguite alla sua nomina a soprintendente del Teatro San Carlo di Napoli poi invalidata dal tribunale ordinario, sia che poi Sergio ha nominato a cascata direttori di rete di Tg, tra i primi Gian Marco Chiocci al Tg1 e Antonio Preziosi al Tg2 (il 25 maggio 2023). Così come ha taciuto il fatto che se il nuovo Cda non è ancora arrivato, è solo perché lei, Salvini e Tajani non si sono ancora accordati per un “spartizione soddisfacente (per lei).
La stilettata della Ue sul Rapporto
Oggi è arrivata però la risposta della Ue, una stilettata. La relazione sullo Stato di diritto “si basa su una varietà di fonti” ed “è il risultato di molteplici scambi anche a livello politico con i Paesi membri” e di “una stretta collaborazione con le autorità nazionali”, fa sapere Bruxelles. Che aggiunge che tutto è stato fatto secondo il “consueto iter” e che prima dell’adozione “alle autorità nazionali è stata data l’opportunità di dare aggiornamenti fattuali”.
La relazione allarmante sulla libertà di stampa di MFRR
La seconda stilettata di giornata è invece arrivata dal report del Media Freedom Rapid Response (MFRR), l’organizzazione che monitora le violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell’Ue, frutto della missione urgente svolta a Roma il 16 e 17 maggio scorsi.
Si legge nel report: “Negli ultimi anni, in Italia si è assistito ad un costante declino della libertà dei media, segnato da attacchi e violazioni senza precedenti, spesso partiti da rappresentanti pubblici nel tentativo di mettere a tacere voci critiche. L’interferenza politica nei media pubblici e l’uso sistematico di intimidazioni legali contro i giornalisti da parte degli attori politici da tempo definisco il rapporto tra media e politica in Italia. Tuttavia, negli ultimi due anni queste dinamiche hanno raggiunto livelli allarmanti”.
L’ennesima multa (60mila euro) a TeleMeloni dell’Agcom
Dulcis in fundo (ma mica tanto) sempre oggi su Viale Mazzini si è abbattuta l’ennesima scure dell’Agcom. Stavolta la Rai è stata multata per 60mila euro per la mancata rendicontazione – e quindi il mancato pagamento – dei diritti musicali all’Associazione Fonografoci italiani (AFI). Per l’Afi si tratterebbe di un conto da 12 milioni di euro.
Sanzione che va ad aggiungersi ai 260mila commiati sempre dall’Agcom per la pubblicità occulta del balletto di John Travolta e ai richiami per la débacle del televoto nella serata finale dell’ultimo Festiva di Sanremo.
L’attacco dell’Afi
“La Rai colleziona più sanzioni che ascolti, come confermano anche i dati dell’Osservatorio sulle Comunicazioni di Agcom” dichiara l’Afi, che chiama in causa la Commissione di Vigilanza. “Il dispositivo dell’Autorità è infatti una vittoria che arriva in un momento decisivo per la tv di Stato, basterebbe leggerlo con attenzione per capire che l’emittente pubblica non ha bisogno di nuovi nomi, ma di riforme reali e di qualcuno che le faccia rispettare”, dichiara l’associazione, “Purtroppo, però, nel consueto ‘toto-nomi’ troviamo sempre gli stessi volti ed è difficile aspettarsi risultati realmente diversi”.