Bombe e tank israeliani colpiscono in Libano, la tregua tra Hezbollah e Netanyahu appesa a un filo

Bombe e tank israeliani colpiscono in Libano, la tregua tra Hezbollah e Netanyahu è appesa a un filo. Intanto a Gaza la guerra infuria

Bombe e tank israeliani colpiscono in Libano, la tregua tra Hezbollah e Netanyahu appesa a un filo

Che la tregua in Libano sia molto fragile è facile immaginarlo. Non sorprende, quindi, che a sole 24 ore dall’inizio del cessate il fuoco — che dovrebbe durare sessanta giorni e prevede il divieto di condurre “operazioni militari offensive” — si siano già verificati i primi ‘incidenti’. Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tali attacchi non portano la firma di Hezbollah, bensì quella dell’esercito israeliano (Idf).

Secondo i media libanesi, le forze armate di Benjamin Netanyahu — che per il momento non hanno commentato l’accaduto — avrebbero lanciato un attacco con droni sul villaggio di Markaba, nel sud del Paese, causando almeno due feriti. Inoltre, alcuni carri armati israeliani avrebbero colpito la stessa città e altre due località lungo il confine: Wazzabu e Kfarchouba. La tensione e la delicatezza della situazione nel Paese mediorientale emergono chiaramente dalle dichiarazioni del primo ministro di Tel Aviv e del ministro della Difesa, Israel Katz.

Bombe e tank israeliani colpiscono in Libano, la tregua tra Hezbollah e Netanyahu appesa a un filo

I due hanno lanciato un appello ai libanesi, affermando che: “Per la vostra sicurezza e quella della vostra famiglia, è vietato spostarsi a sud verso i villaggi che l’Idf ha ordinato di evacuare o verso le posizioni dell’Idf nella zona”. Hanno inoltre aggiunto: “È assolutamente vietato attraversare il fiume Litani. Chi si trova a sud del Litani deve rimanere dove si trova, e viceversa”. “Vi ricordiamo”, proseguono le autorità israeliane, “che l’Idf è ancora dispiegato nelle sue posizioni nel Libano meridionale in conformità con i termini dell’accordo di cessate il fuoco, e le nostre forze affronteranno con fermezza qualsiasi movimento che violi questo accordo”. L’Idf ha infatti “60 giorni per ritirarsi in base all’accordo”.

Tuttavia, l’appello sembra caduto nel vuoto, con i civili libanesi che stanno tornando in massa nei villaggi del sud del Paese. D’altronde, se c’è una tregua in corso, appare difficile comprendere il divieto ai residenti di rientrare in ciò che resta delle loro case e dei loro villaggi. Non è tutto. Le forze israeliane, ricordando che “siamo ancora presenti e operiamo nell’area”, hanno spiegato che “non permetteranno la circolazione di veicoli nella parte meridionale del Libano durante la notte”.

L’Altolà degli Usa a Israele dopo che Israele ha usato bombe e tank in Libano

Tutte queste azioni alimentano il timore, più volte espresso dalle autorità di Beirut, che Israele possa decidere di creare una zona cuscinetto sorvegliata dall’Idf. Un’eventualità che per settimane ha ostacolato il possibile accordo per il cessate il fuoco e che, nonostante quanto sta avvenendo, viene fortemente respinta dall’inviato speciale per il Medio Oriente degli Stati Uniti, Amos Hochstein. Secondo il diplomatico, si tratta di tesi “fantasiose”, poiché il Libano non accetterebbe mai l’occupazione israeliana di parte del proprio territorio. Hochstein ha aggiunto: “Non ci sarà mai un accordo che veda Israele come forza occupante in un altro Paese”.

Tuttavia, il fatto che l’ipotesi sia stata ventilata è confermato dallo stesso Hochstein, il quale ha ricordato che, “come ogni israeliano oggi sa”, un’eventuale zona cuscinetto “non potrebbe essere lunga 5 o 10 chilometri, ma dovrebbe estendersi molto più a nord” sul territorio libanese.

Striscia… insaguinata

Nonostante questi “incidenti”, la tregua tra Hezbollah e Israele, per il momento, regge. Un cessate il fuoco che, secondo Hossein Salami, comandante in capo delle Guardie Rivoluzionarie dell’Iran, “potrebbe segnare l’inizio di una tregua anche nella Striscia di Gaza”. Tuttavia, i fatti sembrano smentire tale ipotesi. Le forze armate israeliane, infatti, hanno lanciato numerosi e violenti attacchi in Palestina. Stando a quanto riportano i media locali, nove persone hanno perso la vita durante un attacco aereo che ha colpito un edificio residenziale nell’area settentrionale di Nuseirat, nel centro della Striscia.

Inoltre, un minore è stato ucciso in un bombardamento che ha colpito la casa della sua famiglia nel quartiere di Zeitoun, a Gaza City, mentre un altro palestinese è deceduto durante un raid nel campo profughi di Jabalia. Le vittime non finiscono qui: altre quattro persone sarebbero morte negli attacchi israeliani a Beit Lahiya, sempre nel nord di Gaza, e altrettante nell’area di Khan Yunis, nel sud dell’enclave palestinese. Insomma, una mattanza che sembra non avere fine. Eppure, qualcosa si starebbe muovendo sotto traccia. In queste ore, sembrano essere ripresi i negoziati di pace in Egitto. I funzionari del Cairo si dichiarano fiduciosi per un possibile esito positivo delle trattative, anche se, stando a quanto rivelato dal Wall Street Journal, Hamas starebbe frenando, dichiarando di non essere “pronto per un cessate il fuoco prima della fine del mandato del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il 20 gennaio”.

Il ricorso di Netanyahu contro il mandato di arresto dell’Aja

Intanto continua a far discutere la richiesta di arresto, per crimini di guerra e contro l’umanità, emessa dalla Corte penale internazionale (Cpi) a carico di Netanyahu, del suo ex ministro Yoav Gallant e dell’ex capo di Hamas, Mohammed Deif. Il leader israeliano, infatti, ha deciso che ricorrerà in appello contro la decisione dei giudici dell’Aja. Una richiesta a cui ha risposto il portavoce della Corte, Fadi El Abdallah, affermando che i sospettati hanno tutto il diritto di presentare ricorso e che se Israele porterà “prove” che dimostrino l’innocenza di Netanyahu e Gallant, allora i giudici ne terranno conto revocando la misura.