Come volevasi dimostrare. I ballottaggi di Caltanissetta e Castelvetrano, che premiano i Cinque Stelle in Sicilia, confermano ciò che era già emerso chiaramente nei trend registrati dai sondaggi. Le ultime rilevazioni prima del silenzio imposto dalla par condicio avevano, del resto, dimostrato che confrontare le mele con le pere, proiettando su scala nazionale i dati delle ultime elezioni Regionali, si era rivelata un’operazione a dir poco azzardata e fuorviante.
Le amministrative siciliane aggiungono, a due settimane dal voto per le Europee, un ulteriore tassello d’analisi ad un mosaico che resta senz’altro incerto ma che, cionondimeno, certifica quanto appariva già chiaro in tutti i precedenti sondaggi realizzati nelle scorse settimane. Non c’era, d’altra parte, alcun segnale che lasciasse presagire un crollo verticale tale da giustificare le tesi di quanti, troppo sbrigativamente, si sono affrettati a celebrare il funerale dei Cinque Stelle senza il morto. Anzi, il Movimento si è rivelato più vivo che mai.
In Sicilia ha premiato la capacità dimostrata da Di Maio di riprendere in mano la battaglia sui temi identitari – dalla corruzione al conflitto d’interessi, dal salario minimo alla crociata contro gli sprechi e i privilegi della politica – senza timore di entrare in aperto conflitto, all’occorrenza, con le posizioni più estreme espresse da Salvini, indigeribili per l’elettorato Cinque Stelle. Non è un caso che tutti gli indicatori registrati prima del black out calato sui sondaggi, dessero in crescita la fiducia nel leader M5S.
Non è un caso neppure che, quando il leader torna a fare il driver, la base risponda. In altre parole, il Movimento raccoglie quando smette di inseguire la Lega e torna a fare il Movimento. Nonostante il calo di consensi a livello nazionale, fisiologico peraltro a tutte le forze di Governo, i ballottaggi siciliani confermano che il Movimento Cinque Stelle non è più, ammesso che lo sia mai stato, il contenitore in cui si riversa un voto di protesta, ma piuttosto una forza politica con un’identità e valori definiti. Come dimostra, del resto, il fatto che i voti persi dai Cinque Stelle non si trasferiscono automaticamente al Carroccio, ma si distribuiscono, per la maggior parte, tra il non voto, il Pd e altri partiti. Insomma, tra Movimento e Lega non vale il principio dei vasi comunicanti: la compagine governativa ha bisogno che i Cinque Stelle facciano i Cinque Stelle e che il Carroccio faccia il Carroccio.
Non si può ignorare, tuttavia, che la Sicilia sia stata spesso una regione in grado di anticipare i trend nazionali segnati, nelle ultime settimane, da un evidente calo della Lega che non si può certamente liquidare come l’effetto esclusivo dell’ormai noto caso del sottosegretario Siri. Un calo che arriva dopo che, per mesi, la Lega trascinata da Salvini ha fatto registrare una crescita costante ed esponenziale in ragione dei consensi incamerati tra i cosiddetti flotters. Quegli elettori fluttuanti che, come dice la parola stessa, è facile captare ma altrettanto facile disperdere. Mettendo insieme questo dato con quello dei ballottaggi siciliani se ne deduce che la somma non fa il totale: togliere la parola Nord dal nome non è bastato alla Lega per radicarsi al Sud.
Per questo è difficile immaginare che dopo le Europee Salvini possa pensare di rompere l’alleanza di Governo con i Cinque Stelle per tentare il colpo grosso delle Politiche. Anche se – ma è molto improbabile – il Carroccio dovesse arrivare insieme a Fratelli d’Italia intorno al 40% dei consensi, per trasformarsi in maggioranza parlamentare, il sistema elettorale delle Politiche, implica che questo serbatoio di voti sia distribuito omogeneamente su tutto il territorio nazionale. Diversamente, se fosse concentrato solo in determinate zone del Paese, superare il 40% potrebbe non bastare. E, al momento, le comunali siciliane confermano che per la Lega il rischio resta alto.
(L’Autore è presidente e amministratore delegato di Gpf Inspiring Research)