Di Gianni Barbacetto per Il Fatto Quotidiano
Quanti dolori per il cibo, nell’Expo sul cibo. Il tema dell’esposizione universale 2015 a Milano, si sa, è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Ma proprio la gara per gestire la ristorazione in tutta l’area è andata già due volte deserta. E quella per la ristorazione nel padiglione Italia è bloccata da un ricorso al Tar. “Ho partecipato a quattro Expo in giro per il mondo, ma sono stato buttato fuori proprio da quella che si tiene in Italia, a Milano. Ritengo che la gara non sia stata regolare. Per questo ho fatto ricorso e ho mandato una lettera a Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità anti-corruzione: c’è qualcosa che non va nella gara per la ristorazione al padiglione Italia”. Piero Sassone nasce chef e diventa organizzatore e manager del cibo. Ha un ristorante a Saluzzo, “Le quattro stagioni d’Italia”, e il suo Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners) forma i migliori cuochi del Paese. Collabora con 126 ristoranti stellati in Italia. Ha il quartier generale nel castello di Costigliole d’Asti, tra le Langhe e il Monferrato, ha sedi a Shanghai e in Brasile e uffici di rappresentanza in 24 Paesi nel mondo. Ha gestito la ristorazione del Padiglione Italia alle Expo di Aichi 2005 (Giappone), Saragozza 2008 (Spagna), Shanghai 2010 (Cina), Yeosu 2012 (Corea del Sud).
“Abbiamo partecipato anche alla gara per l’Expo di Milano 2015: con un progetto che coinvolgeva dodici ristoranti stellati e sette chef internazionali. Ma siamo arrivati secondi. Battuti da Peck”, racconta Sassone. “A gara ancora aperta, il responsabile per l’Italia della San Pellegrino, Clement Vachon, ha telefonato alla nostra responsabile marketing per parlarle dell’eventuale fornitura dell’acqua minerale. Nel discorso, le ha detto che eravamo rimasti in due in gara. Come faceva a saperlo? Ma non basta: le sedute della commissione giudicatrice non sono state trasparenti e pubbliche, come invece prevedeva il bando, ed è stato reso noto un solo verbale, mentre le sedute sono state tre. E poi il file dell’offerta economica di Peck risulta modificato l’ultima volta il 3 aprile 2014 alle ore 17.37, quando il termine per la presentazione delle offerte era il 25 marzo e le buste sono state aperte dalla commissione alle 16.30 del 2 aprile”.
Ora saranno il Tar e l’Autorità anti-corruzione di Cantone ad analizzare la vicenda e a stabilire se questa è solo una manovra di disturbo di una cordata di imprenditori regolarmente sconfitti in una gara. Ma intanto Sassone protesta. “A noi, che lavoriamo da 23 anni con esperienza internazionale , che abbiamo partecipato anche alle Olimpiadi invernali di Sochi, la commissione ha attribuito per il curriculum 21 punti. Ne hanno dati 20 a Peck, che non ha la nostra esperienza e fa gastronomia, non ristorazione. Il nostro progetto prevedeva 37 addetti, quello di Peck soltanto quattro. Il fatto è che Peck è controllato dalla famiglia Marzotto, che ha rapporti stretti con Diana Bracco, presidente di Expo 2015 e commissario del padiglione Italia”. Quest’ultimo ha una sua gestione autonoma, rispetto alla società Expo 2015 spa di Giuseppe Sala che cura il resto dell’esposizione. “Abbiamo partecipato in cinque, tra cui Gualtiero Marchesi. Dopo la proclamazione del vincitore, ci ha contattato più volte Lamberto Vallarino Gancia, commissario del padiglione Italia, che ha tentato di convincerci a non fare ricorso. Prima promettendo che ci avrebbe coinvolto in serate ed eventi presso il padiglione Italia durante i sei mesi di Expo, poi minacciando che, se fossimo andati avanti, avremmo avuto serie ripercussioni sotto il profilo delle relazioni commerciali”.
Se al padiglione Italia si mangerà Peck (salvo colpi di scena), nel resto dell’Expo sul cibo c’è il rischio di restare digiuni. “Le due gare sono andate deserte. Così non sappiamo ancora chi gestirà i 120 punti vendita, tra chioschi, fast food, self service e ristoranti, che dovrebbero essere aperti dentro l’Expo. Nessuno ha partecipato: per forza”, spiega Sassone, “le condizioni imposte per la gara sono antieconomiche, non convenienti per un imprenditore. Io ho l’impressione che lo facciano apposta: mettono condizioni non sostenibili perché le gare vadano deserte, così poi hanno la scusa per andare a trattativa diretta e decidere come vogliono loro. È un peccato, la meritocrazia non è più un valore in questo Paese. Chi si è fatto una grande esperienza in giro per il mondo non è messo in condizione di lavorare in Italia. Intanto a Eataly di Oscar Farinetti è stato dato un intero padiglione senza gara: ma vi pare possibile?” si chiede Sassone. “Cantone e il Bureau International des Expositions non hanno niente da eccepire?”.