Da una parte la difficile partita sui migranti, per la quale l’Unione europea ancora non intraprende una strada chiara ed evidente, dall’altra il capitolo sulle spese militari, su cui la posizione dell’Ue è più che mai incontrovertibile: finanziare, finanziare, finanziare. Come denunciato dalla Rete europea contro il commercio di armi (Enaat), in cui rientra anche l’italiana Rete per il Disarmo, nel silenzio generale pochi giorni fa il Parlamento europeo ha adottato il “Programma europeo di sviluppo industriale per la difesa”, proposto dalla Commissione europea nel giugno 2017.
Ma di cosa stiamo parlando? In sintesi, secondo l’associazione, di sovvenzioni per l’industria degli armamenti. In questo modo, infatti, “il Parlamento Europeo sancisce il passaggio di paradigma dell’UE verso una sicurezza basata sulle armi (“hard security”) e con risposte principalmente militari a problemi complessi, nonché un’eccessiva influenza del complesso militare-industriale sugli sviluppi politici dell’UE”. Le stesse società ed aziende che hanno accompagnato e consigliato l’Unione europea, tra cui anche l’italiana Leonardo, in questo percorso potranno essere i principali beneficiari del fondo. Che non sarà di poco conto: il programma, infatti, sposterà ogni anno almeno 500 milioni di euro del bilancio globale Ue 2019- 2020 verso lo sviluppo di nuove armi, “comprese tecnologie militari controverse quali i sistemi d’arma senza equipaggio o completamente autonomi”, a cominciare dai cosiddetti “killer robots”.
Ma non è tutto. Come denuncia ancora l’Enaat, infatti, di questo passo si arriverà facilmente al vero obiettivo finale. Il “Programma europeo di sviluppo industriale per la difesa”, infatti, altro non è che il precursore del Fondo per la Difesa che, nei piani della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker dovrebbe comportare, se non si dovesse intervenire, nel periodo 2021-2027 un versamento totale di 13 miliardi di euro all’industria degli armamenti dal solo bilancio dell’Ue, “più di quanto si destina all’aiuto umanitario. Con decine di miliardi ulteriori provenienti da possibili contributi nazionali”. Il rischio è concreto e, almeno per ora, a poco sono servite le denunce delle associazioni. Senza dimenticare la petizione firmata in tutta Europa da oltre 800 scienziati e accademici, con un testo che invita l’Unione europea a interrompere il finanziamento della ricerca militare. Chiedendo anche ai propri colleghi nella comunità scientifica e di ricerca di unirsi all’iniziativa. Finora tutto tace. E Strasburgo, nel frattempo, approva.