A qualcuno viene il dubbio che voglia fare la fine di Sansone con tutti i filistei. Il segretario del Pd Enrico Letta continua imperterrito nella sua difficile marcia da segretario dimissionario provando a tenere un partito che gli scivola dalle mani e che ieri in un sondaggio per Affari Italiani viene dato ormai al 16,9%, in caduta libera.
L’ultimo disastro del segretario del Pd Letta alla marcia contro la guerra. Mezzo partito da Calenda e lui a prendere fischi a Roma
Forse sarebbe il momento che qualcuno gli dicesse senza troppi giri di parole che l’errore di non essersi dimesso subito e di avere programmato il prossimo congresso in un lasso temporale così lungo comincia a essere pericoloso.
Sarà per questo che proprio Letta ieri ha scritto che “più la fase della chiamata e della discussione saranno efficaci più si potranno anche contrarre i tempi della fase del confronto tra i candidati, in modo da poter anticipare la data attualmente fissata dalla Direzione nazionale del Pd per il 12 marzo”, incassando la lapidaria risposta del candidato in pectore alla segreteria Stefano Bonaccini che risponde con un “servono tempi rapidi perché il Pd rimanga in vita”.
Solo negli ultimi giorni infatti il segretario ha incassato il contraccolpo della marcia per la Pace di Roma con i suoi parlamentari che hanno deciso di andare in ordine sparso, dividendosi tra la manifestazione ufficiale convocata da più di 600 associazioni nella Capitale e la combriccola milanese guidata da Calenda.
Enrico Letta con molto coraggio – questo gli va riconosciuto – ha deciso di sfilare a Roma beccandosi anche gli insulti dei presenti ma non avere trovato una parola ferma per difendere la strumentalizzazione del pacifismo operata da Renzi, Calenda e un manipolo di liberali l’ha lasciato per l’ennesima volta in un mondo di mezzo che lo espone (insieme al Pd) agli attacchi per troppa tiepidezza.
A questo si aggiunge il nodo della Lombardia, con Letizia Moratti improvvisamente assurta al ruolo di interprete della politica “nuova” (fa ridere solo a scriverlo) del cosiddetto Terzo Polo ormai sempre più impegnato a riciclare i rottami della destra e ripulirli vestiti a puntino.
La scelta di puntare su Cottarelli (inimicandosi anche una bella fetta del partito lombardo) per tenere “dentro” Renzi e Calenda si è rivelata completamente sbagliata. Ancora una volta il Partito democratico si ritrova a dover rincorrere le scelte degli altri, per di più con un cammino di avvicinamento alle elezioni regionali difficile da controllare con l’autorevolezza traballante di una segreteria dimissionaria però pienamente operativa.
Il problema, inutile girarci intorno, è che il Pd si ritrova tra la morsa del cosiddetto Terzo polo e del Movimento 5 Stelle e in questo momento senza un leader legittimato e forte la sua tiepidezza non fa nient’altro che favorire i suoi avversari. Enrico Letta non può pensare che il partito tenga fino a marzo, superando tra l’altro l’inevitabile scontro congressuale che scalderà ancora di più gli animi e alimenterà le divisioni interne.
Occorre fare presto, il più presto possibile perché gli elettori e gli iscritti sappiano quale direzione intenda prendere il partito e per poter legittimare una nuova classe dirigente che tenga la barra dritta sulle proprie scelte e sulla comunicazione. Il bivio del resto è sempre lo stesso: decidere se svoltare verso la socialdemocrazia lasciando perdere destre omeopatiche travestite da riformisti oppure se aderire a una piattaforma di centro (destra) accontentando l’anima più liberale. Si può condire il tutto con qualsiasi affermazione ma il punto è sempre qui.