“Speriamo che sia femmina”, una delle opere cinematografiche più note di Mario Monicelli, indiscusso maestro della cosiddetta commedia all’italiana, deve aver molto ispirato il segretario Pd Enrico Letta che da giorni ripete come un mantra l’indispensabilità che a guidare i gruppi dem sia una donna. Regola che vale solo nel Parlamento italiano, evidentemente, perché a Bruxelles la delegazione Pd continua d essere guidata da Brando Benifei.
“Sulla capogruppo decideranno domani (oggi, ndr) i deputati: i gruppi sono autonomi, per me l’unica cosa essenziale è che sia una donna”, ha ribadito anche ieri l’ex premier tornato apposta da Parigi. E per giustificare la sua ostinazione nel volere a tutti i costi una donna tira in ballo anche le scelte di Papa Francesco: “A chi mi dice che ho fatto questa cosa per scardinare gli equilibri interni dico: nel 2021 anche in Vaticano è stato nominato un vicesegretario donna”, giungendo alla conclusione che il problema del Pd è che ha una storia recente tutta al maschile: “Negli ultimi 3 congressi ci sono state 9 persone candidate alla guida del Pd ed erano tutti uomini”.
Onestamente viene spontaneo chiedersi cosa abbia impedito alle donne dem di candidarsi nell’ambito di una “sana competizione”, come peraltro ha sempre ribadito anche Letta che ha lasciato la scelta alle assemblee di Camera e Senato, salvo poi stupirsi del fatto che anche fra le esponenti del sesso femminile la competizione non è “un pranzo di gala” ma è talvolta, come accade per gli uomini, foriera di toni esasperati, colpi bassi e veleni. O addirittura una vera e propria “catfight” come quella a cui stiamo assistendo.
Se infatti a Palazzo Madama è andato relativamente tutto liscio, con il passo indietro – suo malgrado – di Andrea Marcucci – che ha passato il testimone a Simona Malpezzi, anche lei esponente di Base riformista, lo stesso non si può dire a Montecitorio dove oggi verrà eletta con ogni probabilità la ex vice segretaria dem ai tempi di Renzi Debora Serracchiani. E anche lei, ça va sans dire, appoggiata dalla corrente che fa capo a Lotti e Guerini e dal capogruppo uscente Graziano Delrio.
Particolari che non sono andati proprio giù all’altra candidata in campo, Marianna Madia, che in una lettera aperta si è tolta qualche macigno dalle ballerine esordendo con un poco felice “la verità rende liberi”. La sua verità – sai che scoperta –si sostanzia nella constatazione che “quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro” cioè nel “tradizionale gioco di accordi trasversali più o meno espliciti con il capogruppo uscente, da arbitro di una competizione da lui proposta, che si è fatto attivo promotore di una delle due candidate”, trasformando “il confronto libero e trasparente in una cooptazione mascherata”.
Segue ovviamente replica della competitor Serracchiani che a sua volta ha scritto una lettera ai deputati dem: “Non posso credere che Marianna intenda riferirsi a me come a una persona cooptabile e quindi, dovrei supporre, non autonoma”. Al di là delle accorate missive, quel che stupisce nell’intera vicenda è il “candido” stupore di Letta – non è dato sapere con quale grado di convincimento – che si dice sorpreso dai commenti e dai titoli sulla vicenda Madia-Searracchiani, “se fosse stato un confronto tra due uomini si sarebbe usato un altro tipo di linguaggio”, dichiara in versione Boldrini.
E sulle correnti interne al partito: “Non è vera la rappresentazione che si fa del Pd di un partito con dentro pezzi di un altro partito. La scissione, che per altro io ho guardato da fuori, credo sia stato un momento molto doloroso, e chi è rimasto lo ha fatto con convinzione. Io sono per superare a tutto tondo la logica degli ex. Siamo tutti democratici e democratiche”.
E perché no, includiamoci pure Matteo Salvini: “Sono contento dell’evoluzione della Lega e del M5s sulla questione europea. Oggi, sia la Lega che il M5s sostengono il governo Draghi, il governo più europeista che ci sia mai stato. è il motivo per cui io non apro polemiche su questi temi. Se questo portasse Salvini e la Lega nel Ppe io sarei contento, per l’Italia sarebbe una notizia positiva”, ha detto ieri il segretario dem intervenendo alla presentazione del Rapporto Ispi a cui partecipava anche il leader della Lega che ha così replicato, tranchant, alle parole di Letta: “Se vogliamo far finta di niente e dire che la speranza del mondo è che la Lega entri nel Ppe non si fa un buon servizio al sogno dei padri fondatori”.
Proprio come nelle commedie brillanti portate sullo schermo da Monicelli insomma, spesso caratterizzate da una sostanziale amarezza di fondo che ne stempera i contenuti comici.