di Lapo Mazzei
I tempi della politica, molto spesso, non coincidono con quelli del calendario. E un’agenda di governo non è simile a quella dei comuni cittadini. Una famiglia normale pensa al domani, un esecutivo al prossimo anno. Soprattutto se questo rappresenta una sorta di equinozio dell’assetto geopolitico del vecchio continente. Ecco, questo è quello che sta facendo la compagine guidata Enrico Letta. Ben sapendo di annoiarvi, e ve ne chiediamo scusa, provate a seguirci un attimo. Ai primi di giugno del 2014 si vota per le Europee. Più o meno nello stesso periodo i fiorentini saranno chiamati a scegliere il sindaco del capoluogo toscano. Formalmente Matteo Renzi si sarebbe già ricandidato. Nella realtà nulla è più certo dell’incertezza. A fine settembre, invece, tocca ai tedeschi scegliere chi dovrà guidare la Cancelleria. Angela Merkel resta la favorita alla successione di se stessa. Sempre nella seconda metà del 2014 la presidenza dell’Unione europea tocca all’Italia. Infine nel 2015 il nostro Paese si gioca la carta Expo. Bene, direte voi, che c’entra tutto questo con il governo Letta? C’entra eccome.
Perché non voteremo a ottobre
L’inquilino di Palazzo Chigi sta tarando le proprie azioni in funzione di questi appuntamenti, soprattutto in materia economica, consapevole del fatto che se resta la Merkel la politica del rigore rimane un dogma mentre un cambio della guardia alla Cancelleria aprirebbe la strada a una ridefinizione degli accordi. Non solo. Volendo ottenere un forte dividendo politico dalla presidenza dell’Unione europea, l’Italia deve presentarsi all’appuntamento con un governo stabile, saldamente in sella. Ma sulla strada che porta il governo Letta a Bruxelles c’è uno scoglio chiamato Silvio Berlusconi. Perché se il prossimo 30 luglio dovesse trasformarsi in una sorta di 25 luglio di Silvio Berlusconi (per quella data è attesa la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset), con salvacondotti affogati nel mare magnum delle parole, finiremmo con l’andare al voto ad ottobre. E visto che voteremmo ancora con il Porcellum, non avremmo un governo prima del nuovo anno. Cioè a gennaio del 2014, ovvero all’inizio dell’anno che potrebbe cambiare le sorti dell’Europa, visto che fra dodici mesi avremo anche i nuovi ingressi nella Ue. Ce lo possiamo permettere? No, il governo non può cadere ora. Ma per restare in sella, oltre ad attendere la sentenza sul Cav, l’esecutivo si è visto costretto ad adottare la politica dei piccoli passi, delle azioni commisurate alla forza dei propri muscoli. Che sono deboli, poco tonici. Tutti gli sforzi, in questo momento, sono tesi a creare i presupposti per un’uscita di sicurezza per Berlusconi. Soltanto quando il Cavaliere sarà messo in sicurezza vedremo il vero volto del governo Letta. Che non potrà non metter mano ai conti dello Stato, varando una manovra aggiuntiva. In buona sostanza quel che abbiamo visto sino ad oggi è soltanto una squadra che sta trascorrendo il tempo riscaldandosi ai bordi del campo.
Aspettando le scelte vere
In questa fase sul terreno di gioco ci sono solo i partiti, concentrati nel portare a casa i propri obiettivi. Il Pd studia come blindare Renzi e affrontare la prova del congresso, nonostante la rivolta della base. Il Pdl è invece impegnato a salvare Berlusconi e a delineare il proprio futuro, anche se contro la Pitonessa Santanchè si sono scatenate le “ancelle” di Angelino Alfano (le ministre Beatrice Lorenzin e Nunzia De Girolamo), pronte a ballare la danza del ventre per il capo ma indisponibili ad accettare Daniela a capo del partito. Una partita che si gioca fra le quinte, perché ufficialmente a Palazzo Grazioli è scoppiato l’amore. Insomma, gli interessi del Paese sono solo un bel titolo ma nessuno per il momento svolge il tema. Prova ne sono le decisioni assunte ieri da Palazzo Chigi che ha deciso di far scomparire la distinzione tra figli di serie A e di serie B. «Un grande segno di civiltà» ha affermato il premier. «D’ora in poi esistono solo figli senza aggettivi. Finiscono drammi umani che ci sono stati nel passato». Tutto vero, ma ciò che conta è l’effetto mediatico. L’applicazione pratica, in fondo, riguarda una percentuale marginale del Paese. Tra le altre decisioni dell’esecutivo c’è il via libera all’Autorità dei Trasporti, l’approvazione di un emendamento da presentare alle Camere, sulla classificazione dei farmaci oncologici e un’iniziativa per l’attrazione di investimenti esteri: un progetto che dovrebbe chiamarsi “Destinazione Italia”. Tutto buon senso, che ci mette in linea con l’Europa. Per le scelte vere, Iva e Imu, dobbiamo aspettare ancora. L’importante è che tutto questo non si trasformi in un eterno aspettando Godot della politica italiana, ancora sotto tutela della diarchia franco-tedesca. Che sembra averci preso gusto, in attesa del 2014, quando l’agenda squadernerà chi comanda davvero. Tanto a Bruxelles quanto a Roma.