di Lapo Mazzei
D’accordo, le riforme vanno fatte. E la Costituzione, anche se è la più bella mondo, ha bisogno di un bel tagliando. Come ha sempre sostenuto Silvio Berlusconi e come ha ribadito il presidente del Consiglio Enrico Letta. Il diavolo e l’acqua santa che si ritrovano ad essere d’accordo, mica una cosa da poco. Sarà per questa ragione, allora, che una bella fetta del Pd ha deciso di piazzare delle mine, in particolare in materia di legge elettorale e i suoi derivati sul percorso del premier, stimato in 18 mesi. Magari solo per vedere l’effetto che fa, magari per vederlo uscire di strada per fare un favore a Matteo Renzi. Magari l’una e l’altra cosa insieme, dato che il Pdl osserva silente quanto sta avvenendo nella consapevolezza che solo il Pd può danneggiare il Pd e, con esso, il presidente del Consiglio in carica.
Alta tensione
Data la cornice resta da capire cosa ci sia finito dentro, soprattutto dopo una giornata ad alta tensione come quella di ieri, iniziata al Senato, che ha approvato la mozione di maggioranza sulle riforme, frutto acerbo dell’accordo faticosamente raggiunto dal premier, che rinvia il nodo della legge elettorale, e finita alla Camera con la bocciatura della proposta Giachetti che mirava a reintrodurre il “Mattarellum”. Più che una proposta si è trattato di una vera e propria “mina” innescata dal deputato del Pd Roberto Giachetti, che vorrebbe il ritorno al vecchio sistema elettorale, che non piace affatto a Berlusconi e al Pdl. L’ex radicale, ora renziano, già protagonista di battaglie estreme sulla legge elettorale, ha raccolto un centinaio di firme (tra Pd e Sel e persino quella del Pdl Antonio Martino) intorno a una mozione parlamentare che chiede il ripristino del vecchio sistema. Una fuga in avanti che non piace a Palazzo Chigi, pronto ad esprimere parere contrario, perché rischia di far saltare il delicato equilibrio raggiunto con Berlusconi sulle riforme. E la Camera, infatti, ha bocciato il provvedimento. Una “mina” disinnescata dietro alla quale il foglio parlamentare Velina Rossa vede la mano diretta del sindaco di Firenze, anche se Giachetti nega fermamente. Abile mossa, o blitz dei “soliti Ignoti”? Difficile, dirlo. Di sicuro un bel modo per complicare la vita a Letta.
Il rischio deragliamento
“Mettere il carro davanti ai buoi vuol dire far deragliare il carro” sostiene il premier, spiegando la richiesta fatta in aula di ritiro delle tre mozioni (Giachetti, Nuti e Meloni) perché “della forma della legge elettorale discuteremo nel corso dell’iter delle riforme, e non in questo momento che è il punto di partenza del processo riformatore. La questione è di metodo e di tempi, non di sostanza”. Già, sulla legge elettorale non si può ora, essendo l’assicurazione sulla vita del governo. Altro che metodo e tempi. Al solito Letta cavalca con l’abilità del surfista le onde di una caotica mareggiata politica. Dalla promozione europea alle incomprensioni di maggioranza, da un Pd diviso alla road map delle riforme, il premier è l’immagine dell’uomo che cerca di planare sull’acqua, restando in piedi sulla tavola da surf.
Letta e Bruxelles
Basti pensare alla chiusura della procedura d’infrazione contro il nostro Paese decretata da Bruxelles: era un appuntamento atteso, un traguardo al quale hanno contribuito tutti gli italiani con i loro sacrifici. Nel riconoscerlo, Letta ha subito dovuto precisare che ciò non libera per ora nessuna risorsa aggiuntiva. Occorrerà attendere il 2014. In altre parole nel 2013 bisognerà continuare a stringere la cinghia: un messaggio difficile da far comprendere a cittadini esasperati dalla lunga austerity. Il carniere del governo appare al momento piuttosto vuoto. E’ per questo motivo che, con ogni probabilità, il presidente del Consiglio ha deciso di puntare tutto sulle riforme. La mozione d’indirizzo approvata dal Parlamento è, in realtà, un puro strumento metodologico, indica una via da percorrere, ma non scende nei contenuti perché su questo terreno le distanze sono ancora notevoli. Però l’intesa consente a Letta di poter dire che la politica italiana si sta impegnando seriamente per dare quelle risposte “strutturali” che l’Europa ci chiede da anni: con le positive ricadute economiche che ciò comporta.
Un mandato a scadenza
Letta assegna al suo esecutivo 18 mesi di tempo per varare la riforma dello Stato e della legge elettorale, probabilmente sul modello del semipresidenzialismo alla francese. E lascia intendere di avere alle sue spalle il capo dello Stato: con il quale, all’atto della rielezione, i partiti di maggioranza hanno assunto l’impegno di completare la lunga transizione istituzionale cominciata venti anni fa. Si tratta dell’ultima chiamata, dice il premier, sul quale la politica si gioca la sua residua credibilità. Stavolta un fallimento non sarebbe perdonato dall’opinione pubblica. C’è del vero in questa analisi. Ma dovrà fare i conti con le tensioni e le anomalie intrinseche alle larghe intese. Sotto il pelo dell’acqua, infatti, si vedono chiaramente tutte le insidie. Un esempio è la mozione Giachetti per il ritorno al Mattarellum che il parlamentare democratico non ha voluto ritirare nonostante gli espliciti inviti del premier e del capogruppo Roberto Speranza. E’ stato un modo di compattare i voti di renziani e prodiani in esplicita polemica con il ‘’cedimento’’ della segreteria democratica alle richieste del Pdl, ostile al Mattarellum. Non si tratta di alambicchi parlamentari ma di una questione di sostanza politica, dietro la quale si intuisce chiaramente la mano del sindaco di Firenze: un modo di restare in partita sulle riforme e di costruire una linea alternativa a quella di Epifani.
La performance tv
A conferma del quadro dato e in chiusura della giornata, Renzi ha spiegato a Lilli Gruber negli studi di Otto e Mezzo di sperare che il governo e la maggioranza decidano sulla legge elettorale “senza fare melina. La mia unica preoccupazione è che rinviino troppo. Questo governo di larghe intese non diventi il governo di lunghe attese…”. Per Renzi la legge elettorale dei sindaci funziona benissimo: “Chi ha vinto governa. I signori del governo invece giocano di rimessa e di melina. L’Italia non può aspettare”. E stando all’ultimo sondaggio Demopolis sta aspettando proprio lui, visto che il 37% degli elettori lo vorrebbe come futuro premier. Un trionfo, se si confronta questo dato con le preferenze accordate allo stesso Letta (20%) e a Berlusconi (18%).