di Stefano Sansonetti
C’è un’espressione che, forse meglio di ogni altra, è in grado di riassumere i termini della questione. “E’ come se adesso la forma avesse seguito la sostanza”, dice a La Notizia Raffaello Lupi, uno dei massimi esperti tributari italiani. La realtà, ormai sotto gli occhi di tutti, è che Fiat è quasi completamente fuori dall’Italia. Per questo non deve stupire più di tanto il fatto che il gruppo, guidato da Sergio Marchionne, abbia deciso di trasferire la sede legale ad Amsterdam e quella fiscale a Londra. Sia chiaro, è ovvio che andare a finire nel Regno Unito aiuti ad avere un fisco meno invadente. Ma per i fiscalisti, al di là degli aspetti legati al peso delle tasse, è la proiezione estera della Fiat a essere ormai certificata, con buona pace di un passato italiano destinato a trasformarsi in un ricordo sbiadito. Per Lupi, ordinario di diritto tributario all’università di Roma Tor Vergata e in passato presidente della Bell, la cassaforte lussemburghese utilizzata nel 2001 dal raider bresciano Emilio Gnutti per cedere il controllo di Telecom, “ormai Fiat è una multinazionale con la testa all’estero, con attività estere che stanno bene fuori dall’Italia e con attività italiane che continueranno a essere tassate nel nostro paese”.
Lo scenario
Il punto è proprio questo: cosa rimane in Italia? Questione decisiva, che non può non influire sul profilo tecnico della decisione di trasferire la sede fiscale a Londra. “Guardi”, prosegue Lupi, “quello che Fiat guadagna all’estero viene tassato dove il reddito è prodotto, in base al principio di territorialità. La realtà, molto più semplice, è che adesso la forma è seguita alla sostanza”. E qui si arriva alla frase chiave, con implicazioni anche politiche, che spiega senza troppi gire di parole che il gruppo di Marchionne e della famiglia Agnelli è ormai andato all’estero. Aspetto che può anche non piacere, se solo si considera l’eterna polemica della “scarsa riconoscenza” della Fiat per un paese dal quale ha comunque succhiato miliardi di aiuti di stato. Ormai siamo di fronte a un fatto.
Il percorso
Ma non c’è un po’ di furbizia dietro alla scelta di andare a Londra, per un colosso come Fiat-Chrysler che fattura 86 miliardi di euro e macina 1,95 miliardi di utili (soprattutto grazie alla componente americana)? “Se una società decide di fissare la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra una ragione c’è”, spiega a La Notizia un altro esperto e ordinario di diritto tributario, Tommaso Di Tanno, secondo il quale però “non sembrerebbe esserci il rischio di una consistente sottrazione di tasse all’Italia da parte della Fiat. Se la sede fiscale londinese è stata scelta per la holding del gruppo, il risparmio fiscale rispetto all’Italia c’è ma non è così rilevante. Più verosimile che Londra sia stata individuata pensando al trattamento dei dividendi e degli interessi sulle emisisoni di bond”. Se invece, prosegue Di Tanno, Londra fosse stata scelta come sede della società operativa “ci sarebbero margini di manovra fiscale più ampi e per certi aspetti preoccupanti”. Piuttosto, conclude Di Tanno, noi “dovremmo essere più nazionalisti sulla sostanza che sulla forma. Cioè preoccuparci di capire se stabilimenti, progettazione e brevetti del gruppo Fiat, ossia la vera ricchezza, rimangono in Italia o no”. In effetti è sempre il tema dirimente. Tende a escludere furbizie fiscali anche Giovanni Puoti, già ordinario di diritto tributario alla Sapienza di Roma e poi rettore e ordinario di diritto tributario alla Niccolò Cusano: “Fiat ha scelto sicuramente un luogo in cui la fiscalità non è rapace, ma è la conseguenza di scelte di gestione e governance che ormai hanno portato il gruppo fuori dall’Italia”. Semmai, prosegue Puoti, quello che è successo in questi mesi, e che è stato ufficializzato ieri, dovrebbe spingere Fiat “a dire definitivamente arrivederci all’Italia e dovrebbe portare la politica a prenderne atto”.
Visto dall’Inghilterra
Commenti un po’ più calibrati sul risparmio fiscale arrivano direttamente dal Regno Unito. Per Gareth Myles, direttore del Tax administration research centre dell’Università di Exeter, “è assai improbabile, come dice la Fiat, che nulla cambi”. Con la sede legale in Olanda e il domicilio fiscale nel Regno Unito “il peso fiscale sarà sicuramente inferiore. Questo è l’effetto di quella flessibilità e di quella globalizzazione che ora interessano l’economia mondiale ed è lo stesso che hanno fatto aziende come Google e Amazon nei confronti del Regno Unito”. Le considerazioni di Myls, riportate ieri dal fattoquotidiano.it, si spingono fino alla formulazione di un esempio: “Mettiamo il caso, ragioniamo per ipotesi, che Fiat debba pagare 500 milioni di euro di tasse in Italia. Passando al regime fiscale britannico, vista la minore tassazione, l’azienda risparmierebbe in un anno almeno 100 milioni di euro di tasse. E comunque l’Italia perderebbe di colpo quei 400 milioni”. Messa così, in effetti, è un bel vantaggio. Ma il punto è che ormai Fiat in Italia non c’è più.
Twitter: @SSansonetti