Aumenta gli utili fino a 510 milioni, con un incremento pari a +83%, ma lascia la cedola invariata a 0,14 euro, senza alcun vantaggio per gli azionisti, tra i quali guarda caso c’è lo Stato. Quando ci si stupisce per l’insufficiente contributo di alcune partecipate pubbliche alla crescita del Paese, sarebbe bene guardare a Finmeccanica Leonardo, la società che ieri ha presentato dei buoni conti e i soliti pessimi comportamenti. Per quanto riguarda i numeri, l’amministratore delegato Alessandro Profumo ha spiegato che il 2018 è andato bene, si è fatto un passo avanti nell’esecuzione del piano industriale e persino superato la guidance.
L’aspettativa è che si raggiungano tutti gli obiettivi fissati per il 2020 e si generi una redditività di gruppo a doppia cifra e una consistente cassa. Tutto bene quindi? Per avere una risposta basterebbe chiedere agli operai dello stabilimento di Grottaglie, in Puglia, da mesi in agitazione per il progressivo ridimensionamento delle attività, in parte trasferite in Polonia. Finmeccanica Leonardo, insomma, migliora la finanza sacrificando l’occupazione. E quella finanza che realizza poi neppure la riversa all’azionista Stato, trasformando in un mistero il senso di una società partecipata dal pubblico che però agisce peggio del peggiore privato, cioè pensando di essere un fine e non un mezzo al servizio del Paese.
In economia, si dirà, contano gli utili e il mercato. Ma pure qui la rotta di questo gruppo è fuori controllo, visto che gli azionisti privati – al pari di quello pubblico – non saranno certo contenti di non veder crescere il ritorno dei loro investimenti nella società. Tanto è vero che ieri a Piazza Affari il titolo ha perso un punto, sull’attesa dei dati di bilancio resi noti a contrattazioni chiuse ma in parte già annusati dalle sale operative. Così le azioni che a ottobre 2017 erano arrivate a valere quasi 16 euro adesso stagnano su un livello pari alla metà. Oggi, primo giorno di contrattazione in Borsa dopo la pubblicazione dei conti invece gli investitori hanno apprezzato i risultati e scommesso sulla futura creazione di nuovi utili, facendo balzare il titolo di oltre il 10%. Ma la finanza si sa che piace alla finanza, anche se per riuscirci sacrifica beatamente l’occupazione.
Diventa perciò un mistero nel mistero capire come sia stato possibile che il Governo guidato all’epoca da Matteo Renzi abbia designato al timone della società non un manager di prodotto bensì un banchiere come Profumo, lasciando alla presidenza quel Gianni De Gennaro che era capo della polizia quando avvennero i fatti del G8 di Genova e l’irruzione nella scuola Diaz. Profumo e Di Gennaro poche settimane fa si sono fatti molto fotografare accanto al premier Conte e a Di Maio, presentando un piano di sviluppo a Pomigliano. Una captatio benevolentiae che avrebbe più senso se poi aiutassero lo Stato non licenziando e remunerando l’azionista.