Moscopoli continua a togliere il sonno a Gianluca Savoini. Già perché ieri il tribunale del Riesame di Milano ha dichiarato perfettamente legittime tanto le perquisizioni quanto i sequestri a carico del presidente dell’associazione Lombardia-Russia. Una decisione con cui i giudici hanno completamente rigettato il ricorso che aveva presentato la difesa dell’ex portavoce di Matteo Salvini, indagato per corruzione internazionale nell’inchiesta milanese battezzata Moscopoli.
Un annullamento con cui l’avvocato Lara Pellegrini aveva sostenuto l’inutilizzabilità sotto il profilo processuale dell’audio captato durante la riunione all’hotel Metropol di Mosca su cui si fondava tanto l’inchiesta quanto la perquisizione domiciliare di metà dello scorso luglio a carico di Savoini. Una tesi che il legale aveva motivato davanti ai giudici, tuttavia senza convincerli, spiegando che il provvedimento di perquisizione, essendo fondato su una fonte di prova, ossia il file audio, effettuata non si sa da chi e della quale non si conosce la provenienza, andava azzerato assieme ai sequestri di tre cellulari e di alcuni documenti. Tutto materiale che, a parere del difensore, andava restituito al legittimo proprietario ma che, invece, resterà nella disponibilità dei magistrati.
CHAT CRIPTATE. Può sembrare un fatto scontato e a tratti marginale per il progresso dell’indagine ma non è affatto così. Anzi si tratta di un nodo vitale dell’intera vicenda perché è vero che dall’analisi dei telefoni non erano emersi contatti tra il presidente dell’associazione Lombardia-Russia e il leader del Carroccio ma, durante l’incidente probatorio, i magistrati avevano rivelato l’esistenza di alcuni problemi tecnici per i quali non era stato possibile completare la copia forense del contenuto di uno dei due smartphone. Un Huawei di ultimissima generazione, acquistato recentemente da Savoini, in cui è presente almeno una chat criptata. Un sistema di comunicazione, tutt’ora rimasto inaccessibile ma che gli inquirenti sperano di riuscire a penetrare, in cui potrebbero essere celate conversazioni delicate che l’ex portavoce di Salvini voleva tenere al sicuro da eventuali indagini.
AFFARE D’ORO. Quel che c’è ed è stato già estrapolato dagli smartphone sono, invece, una lunga serie di contatti preparatori all’incontro dell’hotel Metropol di Mosca del 18 ottobre scorso. Conversazioni risalenti almeno all’estate dello scorso anno intercorse tra Savoini, gli altri due italiani coinvolti ovvero l’avvocato Gianluca Meranda e l’ex bancario Francesco Vannucci entrambi indagati per corruzione internazionale, e persone legate agli interlocutori russi al tavolo. Proprio grazie a queste, l’incontro nell’albergo della capitale russa diventava realtà. Qui, come emerso dagli audio captati da uno dei partecipanti, veniva intavolata la trattativa, poi fallita, per finanziare con 65 milioni di dollari il Carroccio.