In Italia l’attacco all’aborto da parte delle destre è frutto di una strategia sottile. Non si passa infatti per l’abolizione o la modifica della 194 ma attraverso la sua applicazione integrale, sfruttando i gangli di una legge che prevede la possibilità che i ginecologi pratichino l’obiezione di coscienza. In Parlamento giacciono quattro proposte di legge che mettono comunque la 194 nel mirino. L’ultima, targata Fratelli d’Italia, punta a dare diritti giuridici all’embrione fin dal momento del concepimento Per immaginarne gli effetti basta fare un salto negli Usa. L’America post-Roe è un campo minato di leggi e divieti che hanno trasformato il diritto all’aborto in una chimera per milioni di donne.
A due anni dalla sentenza Dobbs vs. Jackson Women’s Health Organization, che ha annullato Roe vs. Wade, il panorama dei diritti riproduttivi negli Stati Uniti è drasticamente cambiato, in peggio. La decisione della Corte Suprema del 2022 ha scatenato una reazione a catena di restrizioni statali che ha reso l’aborto un percorso irto di ostacoli, spesso insormontabili, per molte donne americane. Human Rights Watch denuncia che questa decisione ha creato una vera e propria crisi dei diritti umani. Le leggi restrittive varate da numerosi Stati hanno costretto molte donne a portare a termine gravidanze non vitali o gravidanze frutto di violenza sessuale, mettendo in pericolo la loro salute fisica e mentale. Queste leggi hanno imposto “una sofferenza inutile a chi cerca di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione”.
Il panorama legale post-Dobbs è un mosaico di normative contraddittorie e draconiane.
L’effetto Dobbs
La Corte Suprema, nella sua sentenza, ha rimesso agli Stati la facoltà di legiferare in materia di aborto. Questo ha creato un’America divisa, dove il diritto all’aborto dipende dal codice postale della donna. Gli Stati più conservatori hanno approvato leggi che vietano l’aborto a partire dalle sei settimane, spesso prima che molte donne sappiano di essere incinte. In Texas, ad esempio, la Heartbeat Bill vieta l’aborto non appena si rileva l’attività cardiaca fetale, con pochissime eccezioni. In Mississippi, i divieti di aborto hanno costretto una ragazza di 13 anni a portare a termine una gravidanza per stupro.
Il Texas e l’Oklahoma hanno approvato leggi che consentono ai privati cittadini di citare in giudizio cliniche, operatori sanitari e individui per aver aiutato qualcuno ad abortire e i legislatori del Texas e del Missouri hanno cercato di rendere illegale ottenere aborti fuori dallo Stato. La situazione è resa ancora più disperata dalla mancanza di accesso a cure mediche sicure e dalla chiusura di numerose cliniche che fornivano servizi abortivi. Secondo il Guttmacher Institute, il 75% delle donne che cercano un aborto negli Stati Uniti sono a basso reddito, e queste restrizioni colpiscono in modo sproporzionato le donne più povere, quelle di colore e quelle che vivono in aree rurali, ampliando ulteriormente il divario di disuguaglianza socio-economica.
Le testimonianze di donne americane costrette a portare avanti gravidanze non vitali sono un potente richiamo all’urgenza di un cambiamento nel paese. La BBC ha raccontato le storie di donne obbligate a portare avanti gravidanze con feti non vitali, mettendo in luce l’iniquità delle leggi attuali e la necessità di una riforma che metta al centro la salute e il benessere delle donne. Human Rights Watch conclude il suo rapporto con un appello accorato: gli Stati Uniti devono “riconoscere l’aborto come un diritto umano fondamentale” e devono “agire per garantire che ogni donna abbia accesso a cure sicure e legali”. La lotta per i diritti riproduttivi è tutt’altro che finita e noi qui in Italia lo sappiamo bene.