In Italia si parla spesso di libertà di stampa a rischio. Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica presso l’Università de La Sapienza, secondo lei come siamo messi?
“Credo che la situazione in questo ultimo anno sia molto peggiorata e anche che siamo davanti a qualcosa di non paragonabile con quanto avveniva negli anni precedenti. Questo perché abbiamo un governo che, evidentemente, non tollera le voci critiche e chi semplicemente solleva questioni e interrogativi di ordine politico. Si tratta di qualcosa di preoccupante perché in una democrazia sana l’informazione, la trasparenza e la possibilità di confronto, sono dei punti cardine irrinunciabili. Quando questi cominciano a venire meno, dovrebbe essere un segnale di allarme per tutti perché è un sintomo di un malessere profondo”.
Malgrado si dica da decenni che è necessario riformare la Rai per toglierla dal controllo politico, ad oggi nulla è stato fatto con il risultato che il governo Meloni, come mai prima d’ora, l’ha letteralmente occupata. Cosa ne pensa e cosa crede andrebbe fatta?
“In tutta onestà, non so darle indicazioni di ordine politico-pragmatico capaci di liberare il servizio pubblico dal controllo della politica. Quello che posso dire in qualità di cittadina è che la spartizione della Rai, la quale va avanti da anni se non decenni, è un problema che nel tempo non è migliorato ma, al contrario, è andato acuendosi visto che stiamo assistendo a una presa di possesso della Rai che non ha precedenti. Tutto ciò ci deve far riflettere e chissà che questa deriva, questo precipitare verso il baratro, non possa essere quell’allarme capace di aprire gli occhi a tutti così da trovare una soluzione al problema. Personalmente, però, sono molto pessimista che le cose andranno così”.
L’ultimo Festival di Sanremo è stato terreno fertile per le polemiche. Qui l’azienda è sembrata assecondare il governo perché davanti alla protesta degli agricoltori, temendo interventi imbarazzanti, ha preferito evitare che questi salissero sul palco. È stato un comportamento corretto da parte della Rai?
“Assolutamente no perché questa volontà di controllare e filtrare l’informazione non corrisponde, a mio avviso, con il compito del servizio pubblico. Tra l’altro parliamo della protesta dei trattori ma ci sono stati anche i casi che hanno coinvolto gli artisti Ghali e D’Amico che sono tre casi diversi l’uno dall’altro ma che hanno in comune la pessima figura, il più classico degli scivoloni, fatta dal servizio pubblico. Credo che anche il dibattito attuale, estremamente polarizzato, sia sbagliato e sia figlio di quanto sta accadendo da due anni a questa parte. Forse qualcuno non lo sta considerando a sufficienza ma siamo ormai vicini alla data del 24 febbraio, anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che a mio avviso ha segnato uno spartiacque per l’informazione italiana perché in questi due anni abbiamo assistito a un dibattito militarizzato, sempre più basato sui fronti e sugli schieramenti, dove si procede per slogan che acuiscono lo scontro”.
All’Ariston sono stati mandati anche messaggi di pace per la Palestina, come quello di Ghali, a cui, però, l’ad Sergio ha risposto con un comunicato in cui ha preso le distanze dall’artista per sposare a pieno la causa israeliana, senza il minimo accenno al dramma dei palestinesi. Era necessaria questa presa di posizione e, soprattutto, come la giudica?
“Innanzitutto mi chiedo se sia davvero un messaggio di pace dire ‘stop al genocidio’. Secondo me no perché così si sta dando tutta la colpa a una parte, affermando che da una parte ci sono dei carnefici e dall’altro delle vittime. Questo è il pericolo degli slogan. Sarebbe stato molto diverso se ci fosse stato un appello alla pace in generale perché chi tiene davvero ad essa, deve vedere le responsabilità che esistono da entrambe le parti. Riguardo al comunicato dell’amministratore delegato lo ritengo sbagliatissimo perché fa parte sempre di questo gioco per cui c’è chi accusa una parte e chi accusa l’altra, un muro contro muro che non aiuta il confronto democratico. Tra l’altro non c’è dubbio che quanto accaduto è una forma velata, mi passi il termine, di censura ma vorrei sottolineare anche il fatto che, a mio avviso, un cantante può e deve avere una posizione politica e la puntualizzazione dell’azienda non era affatto necessaria. Un tentativo grossolano e sbagliato di riequilibrare le posizioni che è finito per diventare uno scivolone della Rai”.
Da due anni a questa parte parlare di pace, anche nel servizio radiotelevisivo italiano, è diventato un tabù. Qual è la sua posizione a riguardo?
“Ormai si procede per schemi e certe posizioni vengono etichettate e screditate. Al contrario il servizio pubblico, a mio avviso, dovrebbe avere tra i suoi compiti non soltanto la possibilità di far parlare liberamente tutti ma anche e soprattutto consentire a chi vuole dire qualcosa di non sentirsi preso di mira, bersagliato ed escluso. Una dinamica inconcepibile che, come detto precedentemente, si accompagna a questa preoccupante militarizzazione del dibattito pubblico”.
Il rapporto tra questa maggioranza e l’informazione appare a dir poco conflittuale. A preoccupare sono soprattutto le recenti norme bavaglio che, in nome del garantismo, impediscono ai cronisti di giudiziaria di informare i cittadini sulle presunte condotte di chi amministra il potere. Cosa ne pensa di questi provvedimenti?
“Onestamente, in questi termini, non mi ricordo niente del genere nel passato del nostro Paese. Mi sembra che questo governo abbia molti problemi con i giornalisti, con la stampa e l’informazione. Per questo sistematicamente evita il confronto e, quando possibile, cerca di pilotarlo. Ne abbiamo prova dalla condotta del presidente del Consiglio che sceglie le trasmissioni televisive in cui intervenire, le testate con cui dialogare. E credo anche che le recenti norme e misure entrate in vigore, vadano nella direzione di un controllo pervasivo e pesante su cui bisogna ragionare molto attentamente”.