È un deputato della Lega – peraltro uno di quelli considerati “fedelissimi” – ad azzardare il paragone più plastico: “Matteo (Salvini, ndr) è un po’ quello che è stato Beppe Grillo per il Movimento cinque stelle: serviva un leader cazzuto per accrescere consensi, ringiovanire il messaggio e capire di che pasta siamo fatti. Ora se davvero dobbiamo e vogliamo governare bisogna essere un po’ più istituzionali: al Movimento è toccato Giuseppe Conte, a noi forse toccherà Giancarlo Giorgetti”.
Una strana legge del contrappasso per chi ha passato settimane e mesi a criticare questo cambio di atteggiamento da parte dei pentastellati. Voci, certo. Malelingue, forse. Quel che pare, tuttavia, è che nei corridoi parlamentari tra gli onorevoli leghisti non è raro sentire sempre lo stesso refrain: “Pare essere entrati in una diarchia…”.
LA GEOGRAFIA. Se è vero infatti che formalmente il potere è in mano a Matteo Salvini, al suo interno la Lega è chiaramente spaccata. E quella che pareva una “fronda” ora sembra essere diventato un gruppo piuttosto nutrito. E, soprattutto, autorevole viste le persone che lo compongono. Il caso Lega nasce evidentemente dalla linea un po’ incerta, ondivaga del leader Salvini che è riuscito in diverse circostanze a votare contro e poi a favore dei provvedimenti del governo Draghi, che i leghisti sostengono fin dall’inizio.
Quella che inizialmente era percepita anche dagli osservatori come mera dialettica interna, è finita con lo scoppiare dopo la vicenda del Green Pass: alle parole critiche del segretario sono seguite visioni nettamente opposte prima di Giorgetti e poi dei governatori Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga. Non certo nomi secondari all’interno del Carroccio. Il punto è che i leader leghisti sul territorio non condividono le oscillazioni di Salvini sulla questione delle misure di contrasto alla pandemia. E lo hanno fatto capire chiaramente aprendo un fronte nei confronti del segretario che, in caso di insuccesso alle prossime elezioni amministrative, potrebbe vedere ridimensionato il suo ruolo.
Così come – ed è questo il punto vero – quel tessuto economico composto da imprenditori, commercianti, artigiani del Nord che sta beneficiando delle generose misure del governo e dunque può alimentare una ripresa davvero formidabile in questa fase, mostra segnali di insofferenza verso le mosse di Salvini che, per competere con Giorgia Meloni, un giorno sì e uno no contesta la linea di Draghi.
DAL NORD A ROMA. E, inevitabilmente, le spaccature hanno finito col trovare alloggio anche a Roma, tanto a Palazzo Madama quanto a Montecitorio. Al momento i fedelissimi su cui può contare Salvini sono evidentemente in netta maggioranza, ma i “rivali interni” stanno – assicurano in tanti – aumentando di giorno in giorno. Sicuramente il Capitano può contare sui sue capigruppo – Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo – oltreché su Alessandro Morelli, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, considerati da sempre “salviniani” prima ancora che “leghisti”.
Anche e soprattutto dopo la vicenda di Claudio Durigon (altro fedelissimo), più di qualcuno ha cominciato a storcere il muso. Molto vicini a Giorgetti sono considerati l’ex sottosegretario all’Economia Massimo Bitonci e l’ex sottosegretario all’Interno Stefano Candiani. Da sempre “giorgettiano” anche Nicola Molteni, anche se una delle sue ultime uscite contro Luciana Lamorgese – ha diserato il G7 – è stata letta come un “gesto d’amore” per il Capitano. E poi, ancora, Guido Guidesi, Cristian Invernizzi, fino all’ex sottosegretatio alla Difesa Raffaele Volpi, da molti ritenuto personaggio affidabile nell’ambito della difesa appunto al pari di Giorgetti nell’economica.