Il prossimo referendum di settembre sul taglio dei parlamentari è una occasione che l’ex capo politico del Movimento Cinque Stelle può utilizzare come trampolino di lancio per riconquistare la leadership per una serie di motivi. Il primo è che il taglio dei parlamentari è una specie di brand o marchio di fabbrica del Movimento e tale azione è sempre stata voluta fortemente dal ministro degli Esteri rivendicandone una sorta di primogenitura o paternità adottiva, se vogliamo lasciare l’impulso primevo a Beppe Grillo.
Il Movimento 5S ha sempre ritenuto che i parlamentari fossero tanti, francamente troppi per i risultati ottenuti e questa non è antipolitica, ma semplice deduzione logica e analisi dei fatti come appaiono a chiunque sia in buona fede. Dunque il taglio dei parlamentari è connesso nell’immaginario collettivo proprio al ministro e quindi, considerati anche i numeri favorevoli per l’appoggio che dovrebbe venire – suo malgrado – dalle destre, il successo è quasi scontato.
IL PASSO INDIETRO. Secondo motivo è che la “quarantena politica” per Luigi Di Maio è terminata. Ha pagato duramente le sconfitte regionali dello scorso anno e soprattutto la débâcle europea, ma detto questo dobbiamo registrare come abbia fatto un provvidenziale passo indietro – al contrario di Salvini e più indietro nel temppo Renzi – e si sia ritirato nel suo prestigioso ministero, alla Farnesina, a fare un’analisi dettagliata dei motivi che hanno prodotto queste sconfitte dopo la clamorosa vittoria alle ultime politiche. Terzo motivo è che il Movimento, pur manifestando personalità di rilievo ed emergenti -si veda ad esempio il buon lavoro condotto in questi difficili mesi dall’interim Vito Crimi, non presenta ancora nessuno che abbia l’esperienza politica sul campo e ad alto livello come la sua.
Insomma, tranne Alessandro Di Battista, non ci sono stelle che lo possono offuscare. Sull’ex deputato romano il discorso è invece complesso. È l’unico, come dicevamo, in grado di sfidare Di Maio, ma per motivi che attengono più all’inconscio psicanalitico che alla politica si tiene ai margini per poi fare improvvise e in genere nocive scorribande improvvisate. Forse tra Di Battista e Casaleggio c’è un asse tattico di stampo sovranista, retaggio del vecchio governo giallo – verde, ma per ora la sua scelta appare ricca di interrogativi e anche di insidie politiche nell’ambito di una collaborazione strutturale con il Pd.
LE ALTRE IPOTESI. In realtà – oltre all’ipotesi poco promettente di un direttorio – ci sarebbe anche Roberto Fico tra i triumviri, ma il Presidente della Camera pare troppo schierato a sinistra per potere rappresentare adeguatamente tutte le anime e la profonda e a volte contradditoria complessità dei Cinque Stelle. Infine – da non sottovalutare – c’è il fondatore, Beppe Grillo, che al di là di tutto e di qualche momento di tensione, ha piena fiducia nel ministro perché, obiettivamente, è il meglio che il Movimento può esprimere in questo momento e Grillo vuole l’usato sicuro.
Di Maio ha una lunga esperienza istituzionale come vicepresidente della Camera e, soprattutto, ha una solida esperienza nell’esecutivo in dicasteri di prima grandezza come Esteri, Sviluppo Economico e Lavoro. E proprio la recente esperienza internazionale che ancora dura come capo della diplomazia italiana lo ha reso noto all’estero, si veda solo, ad esempio, la sua azione ostinata e meritoria per la ricerca di una soluzione mediata nella guerra civile libica. Per tutte queste ragioni è possibile, ma forse si può anche dire prevedibile, un rapido ritorno di Di Maio ai vertici del Movimento.