Il cosiddetto caso Palamara ha sconvolto in profondità la magistratura e di un nuovo corso sembra non si riescano neppure a gettare le basi. Quanto sta accadendo all’interno dell’Associazione nazionale magistrati e del Csm da settimane ne è la prova. Con lo strascico di pesantissime polemiche annesse. Ma soprattutto a mostrare quanto le posizioni siano difficilmente conciliabili e le spaccature profondissime ieri è arrivata la decisione di 25 iscritti a Magistratura democratica di abbandonare Md, mandando in pezzi il fronte delle toghe di sinistra.
L’ANNUNCIO. “E’ ormai compromessa ogni possibilità di continuare a lavorare insieme e a riconoscersi in questa Md, che seppellisce nel silenzio il dissenso interno e a noi appare ormai come un luogo escludente, autoreferenziale, assente dal dibattito politico reale, proteso ad una narrazione costantemente autoassolutoria degli eventi, opaco e ambiguo rispetto al progetto politico di Area”, hanno specificato in un lunghissimo documento i dissidenti, tra cui esponenti del calibro degli ex presidenti dell’Anm, Eugenio Albamonte (nella foto) e Luca Poniz, parlando di “scelta dolorosa”. L’attuale dirigenza è accusata di aver impresso una “formidabile accelerazione” alla scelta di abbandonare il percorso verso Area, il gruppo comune con il Movimento per la giustizia, che vede unite da tempo le due correnti all’Anm e al Csm.
Secondo i 25, Area rappresenta “l’unico soggetto politico” all’interno del quale “realisticamente è possibile provare a costruire un progetto di radicale rinnovamento della magistratura”. Infine l’affondo su quanto accaduto e sul mancato cambio di passo, fondamentale anche per ridare smalto alle toghe travolte dagli scandali: “Oggi che la questione del correntismo e delle sue degenerazioni è esplosa con tutta la sua violenza, la scelta di impiegare tutte le nostre energie in questo progetto è divenuta non più rinviabile”.
LA REPLICA. Davanti a uno strappo del genere, l’esecutivo di Magistratura democratica ha replicato sostenendo che quanto accaduto dispiace trattandosi di “colleghi e amici con cui abbiamo condiviso idee, valori e un lungo percorso nella magistratura associata” e perché avviene “in un momento in cui sono indispensabili la massima responsabilità e unità della magistratura associata all’indomani di gravi vicende che ne hanno ferito l’autorevolezza e la credibilità agli occhi dei cittadini”, ma che comunque la corrente “continuerà a lavorare per i valori in cui crede”, ovvero la democratizzazione della magistratura, “vero baluardo della sua indipendenza”, la deontologia, l’etica e la professionalità nell’applicazione della legge, contro ogni caduta ideale”.
L’esecutivo ha poi assicurato che continuerà a lottare anche contro “gli angoli oscuri in cui si annidano i germi della degenerazione, del clientelismo, del carrierismo più sterile, contro le interferenze e le collusioni con il potere politico al quale si deve rispetto per la sua alta funzione ma non cieca sudditanza, oltre che contro “ogni erosione della democrazia costituzionale, contro mentalità e derive autoritarie, per la tutela della dignità delle persone, e contro ogni discriminazione dei più poveri, di migranti, detenuti, malati, disabili, “matti”, donne, persone discriminate per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere”. Tante dichiarazioni d’intenti. Di una rinnovata unità delle toghe e soprattutto di un radicale cambiamento dopo il caso Palamara non sembra però esserci ancora traccia.