Di Gaetano Pedullà
Aspettando che l’Italia cambi verso, si va avanti con le ricette di sempre. Aumentano le tasse sulle sigarette, le accise sulla benzina restano le più alte al mondo e dopo l’estate ci beccheremo la solita manovra finanziaria. Un salasso che ieri Mediobanca ha stimato in 10 miliardi. Così dimentichiamoci la ripresa. E anche le riforme, quelle vere, che senza soldi non si possono fare. Di ricette magiche, è chiaro, non ce ne sono. Il premier ci sta provando ad ammorbidire l’Europa, ma convincere i tedeschi a darci respiro allentando i vincoli sui conti pubblici non sarà facile. Le privatizzazioni non si riescono a fare e senza crescita vendere le auto blu e frattaglie simili serve a poco.
Dunque non c’è niente da fare? No, le strade sono poche e strette. Ma ci sono. Due sono quelle di cui ci occupiamo oggi nel primo piano del giornale. La prima riguarda il patrimonio immobiliare pubblico, un tesoro che lo Stato fa finta di voler vendere, ma poi si tiene stretto. Di questi tempi, direte, vendere l’immobiliare significa svendere. È vero. Ma uno Stato che col mattone anziché guadagnare ci perde può imporre norme straordinarie (com’è straordinariamente grave il momento che viviamo) e concedere varianti edilizie, permessi e deregulation burocratiche per chi compra. Vedreste allora che fila! La seconda strada è invece una via di equità. Piuttosto che tassare sempre gli stessi, è ora di far pagare chi per motivi insondabili sfrutta concessioni regalate o quasi. Per questo ci occupiamo della vicenda emblematica delle acque minerali. Chi imbottiglia nuota nell’oro, lo Stato e le Regioni che sono i proprietari delle sorgenti affondano. Qualcosa non torna, no?