Mentre ci si avvicina al referendum sul tagliapoltrone si sentono aneddoti inverosimili di soloni improvvisati e intellettuali autonominatosi che mettono in guardia i cittadini sulla riforma. “È uno sfregio alla Costituzione, un regalo alla casta, rende la nostra democrazia un’oligarchia”, dicono. Ma come stanno realmente le cose? Proviamo a ragionare basandoci su dati, fatti e numeri. Che, come si sa, sono argomenti testardi.
Gli italiani saranno meno rappresentati. È la balla più grande. La riforma proposta è semplice e, se vogliamo, “chirurgica”: si passa dai 630 deputati attuali a 400 e dai 315 senatori a 200. Punto. La rappresentanza è assicurata dalla legge elettorale che nulla c’entra col referendum. È d’altronde per questa ragione che Pd e M5S hanno assicurato – già in tempi non sospetti – che si lavorerà sui correttivi alla legge elettorale di modo da assicurare la giusta rappresentanza in relazione al nuovo numero di parlamentari.
Saremo ultimi in Ue per numero di seggi. Stupisce che quest’altra balla sia propinata anche da autorevoli giornali e settimanali. L’errore – alcuni quotidiani hanno detto che l’Italia andrebbe al quint’ultimo posto in Europa per numero di seggi in proporzione agli abitanti – sta nel fatto che si è tenuto conto anche di quegli organi (la Camera dei Lord in Inghilterra per intenderci) che non sono elette democraticamente. Se invece prendiamo soltanto ciò che è realmente frutto di elezione democratica, i conti cambiano radicalmente: oggi il nostro Paese ha il più rapporto tra parlamentari ed eletti (1,6 ogni 100mila abitanti). Con la riforma, invece, si adeguerà agli altri Paese, scendendo a 1 ogni 100mila abitanti (come il Regno Unito) e comunque – e sempre – davanti a Francia (0,9), Germania (0,9) e Spagna (0,8).
Così si distrugge la Costituzione. Altra fake-news. Come spiegava qualche giorno fa Il Fatto Quotidiano, i nostri Padri costituenti non stabilirono un numero preciso ma una proporzione: un eletto ogni 80mila abitanti. Solo nel 1963 si decise di stabilire un numero fisso: 630 deputati, appunto, e 315 senatori. Il punto, però, è che non c’era allora la rete di rappresentatività che esiste oggi: non c’erano le Regioni e non c’era il Parlamento europeo, organi oggi esistenti e che assicurano una vasta rappresentanza. Senza dimenticare che con la riforma del Titolo V della Costituzione competenze importanti come quelle relative alla sanità sono passate proprio in mano alle Regioni. C’è di più: in passato i tentativi proprio di tagliare il numero dei parlamentari sono stati tanti e portati avanti da chiunque (solo per citare alcuni casi: Nilde Iotti, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi). Stupisce che chi è figlio oggi di quelle stagioni, gridi allo scandalo. Il dubbio – piuttosto legittimo – è che l’opposizione abbia ragioni partitiche e non rivolto al reale interesse pubblico.
Si risparmiano solo pochi spiccioli. Un consiglio: quando sentite sminuire la portata economica di una riforma che tocca i palazzi del potere, state certi che a parlare sono i tromboni e gli alfieri della casta. E anche in questo caso vale tale regola. Innanzitutto per una questione etica e formale: in tempo di crisi economica post-covid, anche un piccolo risparmio è segno di civiltà politica, in un’epoca peraltro segnata dalla disaffezione dell’opinione pubblica proprio dalla politica. E c’è poi una ragione concreta e materiale: siamo proprio sicuri si tratti di pochi spiccioli? Se si conta il costo complessivo del Parlamento (circa 1,6 miliardi), il risparmio si aggira intorno al 6-7%. In una legislatura parliamo di mezzo miliardo. Non proprio bruscolini, considerando il non facile e felice periodo che stiamo vivendo.
L’Italia diventerà un Paese oligarchico. Siamo alle solite. Si contesta a priori a una riforma un qualcosa che non dipende minimamente dalla riforma e, dunque, dal referendum: dire oggi che avere un minor numero di parlamentari renderà le istituzioni vittime del volere dei singoli partiti, significa confondere le acque e, di conseguenza, mandare in confusione anche gli elettori. Come specificato anche prima, tutto dipenderà dalla legge elettorale. E, anzi, a riguardo il Movimento cinque stelle è stato chiaro su un punto: occorre tornare alle preferenze andando oltre alle liste bloccate. In questa maniera sì che si tornerebbe a una vera e reale rappresentanza, al di là del numero del nostro Parlamento.
Il Parlamento sarà svuotato dei poteri. Siamo, ancora una volta, alle solite: per quale ragione legare il taglio dei parlamentari alle sue funzioni? La risposta a tale obiezione è probabilmente la più facile e scontata: basta guardare alle legislature precedenti. Abbiamo avuto 945 parlamentari in carica, eppure c’è stato un ricorso spasmodico ai decreti-legge che hanno reso spesso il Parlamento luogo deputato soltanto a dire Sì o No obbedendo ai voleri di partito. E qui la pars costruens del discorso: avere meno parlamentari probabilmente renderà gli stessi più responsabili anche perché ognuno degli eletti avrà gli occhi puntati di un bacino elettorale maggiore. E forse ci penserà due volte prima di cambiare casacca e portare, come siamo stati abituati in questi anni, a maggioranze ballerine.
È un regalo dei 5S alla Casta. Non poteva mancare quest’ultima obiezione al referendum confermativo. Capirne il senso è difficile, ma nei talk show a trazione sovranista o comunque ostili al Governo Conte e ai Cinque Stelle (nell’ordine che volete voi) funziona come slogan. Probabilmente nel momento in cui si cominciano a sparare fake news si perde completamente l’aderenza col reale. La risposta a questa obiezione è però alquanto agevole. Ridurrre i parlamentari non è un regalo alla Casta perché quest’ultima con la riforma perderebbe un altro pezzetto delle sue truppe con annessi privilegi, e sarebbe obbligata a lavorare di più e a un costo inferiore rispetto al passato.