Se ci fosse anche un solo motivo per dubitare che la musica sia carne e non solo eccellenza strumentale, vibrazioni interne profonde e visione realissima di ciò che ci accade intorno attraverso concatenazioni di note e memorie segrete, filigrane sottili di brividi, pensieri e risacche sonore lontanissime, basterebbe andare a riascoltare qualche passaggio di Il buono, il brutto, il cattivo o di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, due degli spartiti capolavoro firmati in una radiosa carriera artistica da Ennio Morricone, l’indimenticabile maestro che ci ha lasciati ieri all’età di 91 anni, costellata di Oscar, Bafta e Golden globe, fra trionfi e candidature.
Nello storico western di Sergio Leone – che lavorò con il compositore romano anche all’altro film della Trilogia del dollaro, Per un pugno di dollari – c’è un’atmosfera cangiante e incalzante, ossessiva e straniante che sembra fatta per un occhio invisibile, non per l’orecchio, e che ci getta nel clima sempre accaldato e criminale di scontri all’arma bianca e lande desolate, polvere masticata e valori calpestati, soci senza scrupoli e giustizia dimenticata, se non prosciugata dal solleone di una morte sempre imminente.
Ci sono jodler e ululati di coyote, fischi e fucilate nel pentagramma di quel registro e ci si immaginano subito gli occhi gelidi di Clint Eastwood, i primi piani spietati, la puzza di polvere da sparo, il tam tam mannaro che spinge uomini senza pietà, nemmeno per se stessi, a contendersi un tesoro tombato, quando duecentomila dollari erano ancora sinonimo di salvezza gradassa. E che dire del film con Gian Maria Volonté e Florinda Bolkan dove un azzimato dirigente di Pubblica sicurezza è in realtà l’amante accoltellatore di una donna con cui condivideva perversi racconti intrisi di sangue e sesso? Qui il pizzicato del mandolino e del marranzano, lo “scacciapensieri”, scandisce la metrica del sospetto e dell’autodifesa, dei passi di chi trama per smascherarlo e di lui stesso che combatte dentro di sé una astrusa schizofrenia fra l’intoccabilità della Legge, kafkianamente intesa, e la debolezza omicida di un piccolo borghese, in fine dei conti, che non ha controllato le sue passioni più funeste, rappresentando paradossalmente l’onestà e il giudizio agli occhi della comunità che, appunto, non “osa” sindacarlo.
Se esiste uno zeitgeist, uno spirito del tempo che ha caratterizzato lo snodarsi di gusti e abitudini, drammi politici e spirali sentimentali, scenari economici e pathos solipsistici, questo ha un solo custode, il Morricone maestoso di Novecento e C’era una volta in America, gioioso e istrionico di Nuovo Cinema Paradiso, livido e sinistro di The hateful eight per la regia di Tarantino, e di tanti altri libri della Vita dove scena finzione e vuoto si rincorrono in una meravigliosa danza di struggimenti e silenzi. Un artigiano dei sentimenti, come lo aveva di recente definito il segretario della Cna, la grande Confederazione nazionale dell’artigianto, Sergio Silvestrini, conferendogli il loro premio più prestigioso, la Chioma di Berenice.