“Le imprese abbandonate dal governo Meloni, così l’Italia non ha futuro”: parla il senatore Pd Misiani

Parla il senatore e responsabile Economico del Pd, Antonio Misiani: "Una follia il taglio al fondo automotive".

“Le imprese abbandonate dal governo Meloni, così l’Italia non ha futuro”: parla il senatore Pd Misiani

Antonio Misiani, parlamentare della Repubblica dal 2006. Oggi senatore e responsabile Economia e Finanze, Imprese e infrastrutture del Partito Democratico nella segreteria nazionale di Ely Schlein. Senatore Misiani, mentre la dialettica tra maggioranza e opposizione si infiamma attorno al caso Santanché, secondo l’Istat – stando ai dati di novembre – la produzione industriale è diminuita per il ventiduesimo mese consecutivo. Quali le prospettive dell’industria italiana?
“La situazione è difficile. Le imprese affrontano la transizione ecologica e digitale zavorrate dai problemi strutturali del Paese, dai costi dell’energia alla carenza di infrastrutture fino alla difficoltà nel reperire manodopera. Purtroppo, il governo Meloni invece di aiutarle le sta abbandonando al loro destino: la legge di Bilancio ha tagliato le risorse per le politiche industriali dai 5,8 miliardi del 2024 a 3,9 nel 2025 fino a 1,2 nel 2027. Così, è la resa di fronte alla deindustrializzazione. Ma l’Italia non ha futuro senza il manifatturiero, non possiamo vivere solo di turismo e rendita immobiliare”.

Come leggere il taglio del fondo automotive contenuto nella legge di Bilancio in rapporto alla crisi Stellantis? Trova soddisfacente il Piano Italia presentato al Mimit lo scorso mese e che impegna il gruppo in Italia, per produzione e tutela dei posti di lavoro, per i prossimi anni?
“Abbattere del 75 per cento il fondo automotive, come ha fatto il governo Meloni, è una follia, di fronte ad una crisi così grave. Devono fare retromarcia e devono farlo rapidamente. Quelle risorse sono indispensabili per aiutare le imprese a riconvertirsi e a mantenere i livelli occupazionali. Il governo deve dare risposte anche sugli ammortizzatori sociali: se non vengono rifinanziati, ci saranno migliaia di licenziamenti. Per Stellantis, il 2024 è stato un anno nero, con la produzione crollata ai livelli del 1956. Il piano presentato a dicembre sulla carta può rappresentare un’inversione di tendenza. Ma agli impegni devono seguire i fatti concreti. Cosa che in passato non è avvenuta”.

La crisi del settore automobilistico europeo, pensiamo anche a quello che sta accendendo in Germania con Volkswagen, è legata a un drammatico calo delle vendite dovuto anche al clamoroso ritardo rispetto alla Cina sulla svolta elettrica. In cosa si è sbagliato e come correggere il tiro?
“Il problema numero uno dell’industria europea è esattamente quello: il ritardo tecnologico accumulato rispetto ai concorrenti cinesi e americani. Il Green deal e il percorso verso il 2035 vanno adeguati alle condizioni attuali, in primis per quanto riguarda le sanzioni, ma illudersi che guadagnare qualche anno in più serva a risolvere la crisi vuol dire non capire niente di quello che sta accadendo nel mondo. La vera battaglia da fare in Europa è quella per un grande piano Marshall per l’automotive, che metta l’industria in condizione di ritornare competitiva”.

Sempre in Europa, dopo lo stop alle forniture di gas russo è scattato l’allarme costi dell’energia. Non crede sia necessario che l’Ue definisca velocemente un price cap? Ci ricordiamo quando due anni fa molte aziende sospendevano la produzione perché era più vantaggioso non lavorare che evadere gli ordini.
“Oggi il prezzo del gas è superiore dell’85 per cento e quello dell’elettricità del 58 per cento rispetto ai minimi di febbraio 2024. Non so se il price cap sia la soluzione più efficace. Di sicuro, sull’energia il governo non può rimanere con le mani in mano. L’unica misura della legge di bilancio è la proroga di 20 anni delle concessioni per la distribuzione elettrica. Un affare per le società che le detengono, Enel in testa. Assai meno per i consumatori, che avranno bollette più care. La priorità è riformare il mercato elettrico. Il Pd ha presentato in Senato una serie di proposte per un ruolo più forte di Acquirente Unico. Siamo pronti a discuterle con il governo”.

I partiti intanto discutono ancora di terzo mandato e De Luca si lamenta della disparità di trattamento rispetto a Luca Zaia. Il calcolo dei mandati che dovrebbe cominciare dall’anno del recepimento regionale della norma nazionale, riducendo a un “mandato zero” quanto avvenuto prima di quella data. Non dovremmo essere tutti uguali davanti alla legge?
“Sì, in un Paese normale le regole dovrebbero essere uguali per tutti. E la legge nazionale 165 del 2004 vieta il terzo mandato per i presidenti di Regione. De Luca ha ragione quando denuncia il fatto che in passato si sia tollerata un’applicazione à la carte della norma statale, permettendo a presidenti come Zaia di fare ripartire il contatore facendosi rieleggere per la terza volta. Ha torto quando prende spunto da questi cattivi esempi per tentare di replicarli in Campania, come ha fatto con la legge regionale che è stata impugnata dal governo Meloni”.

21 Gennaio, si avvicina l’anniversario della nascita del Pci. Tenendo conto della differenza dei contesti storici, quali sono gli elementi dell’ispirazione politica del Pci che ritrova oggi nel Pd?
“Sono realtà profondamente diverse. Il Pci è stato uno dei massimi protagonisti della Resistenza, della nascita della Repubblica democratica e della vita politica del secondo dopoguerra. Un percorso per molti versi peculiare, che si è concluso con il crollo del Muro di Berlino. Il Pd è nato in un contesto storico completamente differente. È un partito riformista, che esprime una identità e una cultura politica frutto dell’incontro delle tradizioni socialista, cattolica e liberale. Con il Pci condivide non l’ideologia ma alcuni valori importanti: l’attenzione verso il lavoro, le disuguaglianze, i diritti civili, la partecipazione democratica. Sfide tuttora aperte, che oggi spetta al Pd affrontare”.