Manby è libera. Ci sono vouti 73 giorni si scontri e tanti raid aerei che non hanno risparmiato le vite di civili: 438, di cui 205 uccisi dai bombardamenti della Coalizione internazionale a guida americana secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) solo nella fase finale. Ma alla fine la città è stata liberata dall’Isis. E le immagini che arrivano, le fotografie che restano impresse dall’inferno del Daesh sono sorprendenti. C’è chi si taglia immediatamente la barba lunga, obbligatoria per i fondamentalisti, le donne strappano via il velo, alcune lo bruciano. Il segno di maggior disprezzo per la follia estremista e omicida dell’Isis. Alcune ora fumano, per ritrovare una pace dimenticata.
E intanto l’Isis perde notevolmente terreno. I miliziani del terrore sono in fuga e il popolo di Manbij, che a gennaio si era ribellato ai jihadisti che mandavano i ragazzini al fronte, sorride. I 150mila civili sono stati intrappolati “come uccelli in gabbia”, esposti ai bombardamenti della Coalizione filo-Usa, agli spari dei cecchini curdi e alle rappresaglie degli ultimi jihadisti rimasti in città.
Chi trasgrediva il codice d’abbigliamento imposto dalla polizia religiosa veniva pestato con tubi di metallo (gli uomini) e catene (le donne). Si poteva essere massacrati anche solo per aver indossato un paio di pantaloni stretti o i jeans.
I militanti di Daesh avevano cominciato la loro ritirata sequestrando circa 2mila civili per usarli come scudi umani. Tutti liberati, stando alle Forze democratiche della Siria (Fsd). La direzione di fuga sarebbe il nord, in un convoglio di circa 500 veicoli, per raggiungere il valico di confine con la Turchia di Jarablus. Il leader curdo siriano Salih Muslim sostiene “però che sono state tagliate le vie di fuga” in quella direzione. “Dopo la liberazione di Manbij, i membri dell’Is non saranno più in grado di viaggiare liberamente verso l’Europa”.