Il Prof. Revelli dice che la Meloni in Europa “è messa male” (La Notizia del 18 giugno, ndr). Però è l’unica premier uscita vincitrice dalle elezioni, mentre Macron, Scholz e altri hanno preso delle batoste.
Elda Bonini
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Gentile lettrice, Revelli ha ragione su tutta la linea. Meloni è passata da un surreale “è finita la pacchia per l’Europa” a un velleitario “ora cambiamo l’Europa” senza averne i muscoli. È come se io volessi suonarle a Tyson. Meloni è e resterà ai margini in Europa anche se dovesse garantire con voti sottobanco la rielezione della von der Leyen. “Non vogliamo voti dell’estrema destra” hanno comunicato freddamente i popolari e i socialisti, mentre Ursula, come s’è visto al G7, ha smesso di prodursi in smancerie per Meloni e si tiene a prudente distanza. L’unico che in Puglia abbia stravisto per la lei, a parte nonno Biden che vive in un mondo a parte, è Rishi Sunak, ripreso dalle tv mentre scambiava faccette esilaranti e fraseggi d’amore (in senso politico) con la premier davanti a un ulivo. Tagliato fuori dall’Europa, irrilevante in America, destinato nelle imminenti elezioni alla più cocente batosta nella storia plurisecolare dei Tory, Sunak si aggrappa dove può, e può solo con la Meloni. Tornando all’Ue, la richiesta di Tajani di avere per l’Italia “un vicepresidente e un commissario di serie A” è probabilmente una pia illusione, mentre l’annunciata intenzione di Meloni di “cambiare l’Europa” è una favola che la dice lunga sulla mistificazione tipica di tutta la sua narrazione. Per usare le parole di Revelli, “ci vuole una presunzione disumana per fare affermazioni simili”.
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