Con la conclusione dell’inchiesta di Perugia sul pubblico ministero Luca Palamara (nella foto), non sono affatto finite le polemiche. Dopo il deposito degli atti, le vicende che giusto un anno fa hanno causato un terremoto al Csm continuano ad avvelenare il clima nella magistratura tanto che perfino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha fatto sapere che presto tornerà a presiedere una seduta del plenum nel tentativo di riportare ordine nel Consiglio.
Seppur non penalmente rilevanti, infatti, le intercettazioni che continuano ad essere pubblicate stanno gettando altre pesanti ombre sul sistema di correnti che domina le toghe e di cui sapeva ben servirsi il pm Palamara. Tra le ultime grane c’è quella che rischia di costare il posto al magistrato della Direzione nazionale antimafia Cesare Sirignano tanto che oggi il Csm ha deciso (con 21 voti favorevoli e 3 a favore dell’archiviazione del caso) il suo trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale.
Questo perché il 7 maggio 2019 Sirignano telefona a Palamara per esprimergli giudizi, tutt’atro che lusinghieri, sul collega Nino Di Matteo. In uno di questi il pm dell’antimafia afferma: “(Di Matteo, ndr) È un mezzo scemo e voi lo avete portato come se fosse il padreterno in croce. Bisogna parlare con Federico (Cafiero De Raho)” per prendere provvedimenti. Fatalità vuole che il 26 maggio De Raho estromette Di Matteo dal pool antimafia per aver rivelato, in un’intervista, riflessioni dello stesso pool.