Ogni mattina dà la sveglia a due milioni di italiani. Pippo Pelo, una delle bandiere della Radio italiana, è un campione di ascolti. E di fedeltà, con ben 33 anni di permanenza nella stessa radio. Un record per l’FM italiana.
Come si spiega questo amore eterno in un’epoca in cui tutto dura sempre meno?
“In effetti sento di essere una vera e propria bandiera e ne sono orgoglioso. Radio Kiss Kiss era un sogno per me e l’averlo realizzato 33 anni fa mi ha segnato così profondamente nel bene che ogni tentazione, ogni momento buio, è stato sempre scavalcato da quel grande amore per quel marchio e per chi mi ha dato la possibilità di diventare un importante conduttore radiofonico italiano pur restando a casa mia, al sud”.
Hai contributo alla crescita graduale di Radio Kiss Kiss, sei dentro da quando il progetto stava cominciando a espandersi; quali sono state le mosse vincenti, i segreti, che hanno permesso all’emittente di partire da Napoli e diventare una delle radio più ascoltate d’Italia e l’unica nazionale di tutto il sud Italia?
“Non posso che individuare in Lucia Niespolo, il nostro editore, le ragioni e le motivazioni della scalata di Kiss Kiss ai vertici della radiofonia italiana. La sua visione strategica e moderna l’ha guidata in scelte sempre più esclusive e in intuizioni che, accompagnate da un cast di talenti assolutamente di primo livello, hanno fatto sì che questa emittente crescesse senza più fermarsi. Gli italiani finalmente hanno compreso che alla radio l’oro non cola necessariamente solo da Milano”.
Sei uno dei pochi speaker che hanno avuto anche esperienze cinematografiche importanti. Cosa lega la radio al cinema e quali aspetti del tuo lavorare in radio ti sono tornati utili per il grande schermo, oltre alle esperienze teatrali precedenti che sicuramente hanno giovato?
“Avevo 5 anni quando mio padre mi regalò un piccolo microfono con un amplificatore perché la sera mi mettessi ai piedi del loro letto a fare mini spettacoli in cui facevo di tutto, presentavo, cantavo, ballavo e recitavo. Mio padre diceva che quella mia “parlantina” mi avrebbe portato a diventare un buon avvocato. Per questo motivo ho poi preso la laurea in giurisprudenza. Ma papà se n’è andato quando io avevo solo 9 anni e non immaginava che, in effetti, quel bimbo da grande avrebbe voluto fare davvero quello che faceva ai piedi del letto dei genitori! Il tutto con un solo filo conduttore, la passione per lo show”.
Hai un impatto sui social fortissimo, ma hai guadagnato il successo alla “vecchia maniera” con tanta gavetta. Oggi, invece, molti fanno la trafila contraria, partono dai numeri dei follower per accedere in radio e in tv, spesso senza esperienze specifiche, cosa ne pensi? E che valore dai a questi numeri che rischiano, a volte, di essere fuorvianti sulla reale cifra artistica del personaggio?
“Ho sempre avuto grande rispetto per chiunque, giovane o meno giovane, attraverso qualsiasi mezzo riesca ad attrarre l’attenzione del pubblico. I social possono essere fucina di talenti effimeri ma anche di talenti con tanta sostanza. In realtà starebbe a chi poi deve eventualmente lanciarli in altri media la capacità di scovarne la vera identità. Il lavoro del talent scout per me resta fondamentale; ogni talento, a prescindere dai numeri sui social, avrebbe bisogno di un attento scopritore. E purtroppo non capita spesso”.
“Facciamo Candy Candy” è il programma che ti ha lanciato. La trasmissione erotico/comica notturna che ha infuocato il pubblico per 10 anni in cui facevi tutto da solo, a volte anche il centralinista, e con una tecnologia che ai tempi non era certo d’aiuto come ai giorni nostri. Cosa trasporteresti di quel modo di fare radio ai tempi attuali?
“Quella era un’altra storia, un’altra vita. La radio degli anni ‘90, soprattutto quella privata, ha vissuto un’epoca d’oro e indimenticabile. Chi la faceva era una star, nel vero senso della parola; i ragazzi sognavano di diventare delle radio stars esattamente come oggi sognano di diventare influencers o creators. “Facciamo Candy Candy” è stata una trasmissione pazzesca che ha rivoluzionato il modo di fare radio di notte in Italia. Potevi sentire e immaginare in chiave “eroticomica” tutto quello che oggi la rete e affini ti spiattellano in faccia in modo costante e per niente originale. E poi la musica, era davvero la colonna sonora scelta da chi faceva la radio. Ecco, io oggi darei di nuovo la possibilità ai dj di potersi fare le scalette dei propri programmi”.