Un governo che mente è pericoloso. Il caso Almasri lo dimostra. Il comandante libico, ricercato dalla CPI per crimini contro l’umanità, è stato fermato e poi scarcerato in pochi giorni. Nordio, Piantedosi e Meloni hanno manipolato i fatti e le versioni, costruendo un castello di bugie per giustificare l’ingiustificabile.
Nordio ha dichiarato di non essere un “passacarte” della CPI, ma la legge lo smentisce: il ministro della Giustizia deve eseguire i mandati d’arresto. Ha poi insinuato dubbi sulla validità del mandato della CPI, sostenendo che fosse viziato da errori. In realtà, l’unico errore era un refuso tipografico corretto pochi giorni dopo. Il resto è stato una strategia per prendere tempo e non eseguire l’arresto.
Meloni ha affermato che la richiesta della CPI non era mai stata trasmessa al ministero della Giustizia. Falso: l’ambasciatore italiano all’Aja aveva già inviato la comunicazione il 18 gennaio, e Nordio era stato ufficialmente informato il 20. Eppure, nessuna azione è stata intrapresa per fermare Almasri.
Piantedosi, poi, ha giustificato l’espulsione del comandante libico con la sua pericolosità. Ma se era davvero un pericolo per la sicurezza pubblica, andava arrestato e consegnato alla CPI, non rispedito in Libia come se nulla fosse. L’obiettivo era evitare il problema, coprire le responsabilità e chiudere il caso in fretta.
Risultato: l’Italia ha tradito la giustizia internazionale, ignorato gli obblighi legali e piegato il diritto alla convenienza politica. Un crimine senza attenuanti, un precedente grave per un governo che gioca con la legge come se fosse un’opzione.