Se riuscissimo a scrollarci di dosso la retorica che ammorba di propaganda queste prime settimane del nuovo governo dovremmo avere il coraggio di raccontare le storie di quella donna sbarcata troppo fredda per sopravvivere e di quel bambino di venti giorni arrivato già morto a Lampedusa.
Mentre la politica dai denti aguzzi di Meloni, Salvini e Piantedosi si lambicca sulla differenza tra migranti, profughi e clandestini, il Mediterraneo inghiotte vite
La prima aveva vent’anni e troppo gelo in corpo. Ha perso la vita al poliambulatorio di Lampedusa mentre inutilmente cercavano di rianimarla e stava su un barchino che trasportava un’altra donna ricoverata d’urgenza al nono mese di gravidanza, un ragazzo siriano piegato in due dalle fitte provocate dall’appendicite e una bambina di quattro anni stremata dalle convulsioni per una febbre troppo alta.
Il neonato invece allo sbarco ha trovato già pronta la sua bara bianca, pronta a essere impilata insieme a tutte le altre bare dei bambini morti nei giorni scorsi per un’esplosione sull’imbarcazione. Peggio è andata agli uomini e alle donne che non hanno nemmeno la dignità di restituire un cadavere e che stanno sotto al mare, sconosciuti ai vivi e ai morti, inghiottiti nel più famelico cimitero liquido dei nostri anni, il Mediterraneo.
Tra i vivi si potrebbe invece raccontare la storia di un quattordicenne silenzioso e piegato su se stesso che è rimasto a bordo della Geo Barents insieme ai trattenuti del “carico residuale”, dimenticato dai controlli che certificavano chi fosse degno per poter scendere e rimasto giorni in un angolo della nave senza le parole per raccontare la propria situazione. è stato notato durante l’ennesima ispezione.
È minorenne, si sono detti. E l’hanno fatto scendere. Si potrebbe partire da qui per provare a ribadire che su quelle navi ci sono persone. Gente con le loro storie, i loro dolori, i loro bisogni. Persone che spesso sono al limite tra la vita e la morte, con il pericolo del mare e del freddo. Mentre la politica dai denti aguzzi di Giorgia Meloni e dei suoi scherani Salvini e Piantedosi si lambicca sulla differenza tra migranti, profughi e clandestini, il Mediterraneo si inghiotte vite umane.
Anche la guerra alle Ong vista da qui, dal molo dell’umanità, assume un altro senso: i cadaveri che sbarcano sulle coste italiane, piaccia o no, sono quelli che non hanno avuto la fortuna di incrociare imbarcazioni che si prendono la briga di salvarli. Se finiscono intercettati dalla cosiddetta Guardia costiera libica (quel manipolo di criminali che l’Italia paga e addestra) finiscono dritti nelle camere di torture finanziate dall’Europa; se non incontrano imbarcazioni spesso finiscono nel mortale buco nero del Mediterraneo.
Il braccio di ferro umanitario dell’Italia contro l’Unione europea intanto sposta la nave Ocean Viking nel porto di Tolone, in Francia. “In via del tutto eccezionale”, precisa il governo francese che dopo avere litigato per 48 ore con il governo italiano sottolinea che “l’Italia era il primo beneficiario del meccanismo di solidarietà europeo di ricollocazione”.
Questo meccanismo, ha sottolineato il ministro dell’Interno francese Darmanin, deplorando l’atteggiamento dell’Italia, “prevede in particolare, delle ricollocazioni di persone rifugiate dai Paesi europei di primo ingresso, per rispondere, effettivamente, al diritto internazionale e al diritto del mare”.
La Francia blocca per ritorsione il patto sui ricollocamenti. L’Ue giustamente ricorda gli obblighi umanitari alla Meloni e ai suoi ministri. Piantedosi frigna ritenendo “incomprensibile” che gli altri Stati se la prendano con l’Italia se non rispetta i patti. Solo che il meccanismo europeo continua a non funzionare – nonostante sia funzionato benissimo per i profughi ucraini e bianchi – e alla fine basta uno Stato che decide di lucrare elettoralmente sui profughi per incagliare tutto. Quelli, intanto, muoiono.
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